L’SVP va sempre piu’ a destra. Gli altri la inseguono 1
Mi stupisce lo stupore degli osservatori politici ed opinion maker che improvvisamente si sono accorti che nell’SVP, da sempre partito di raccolta con egemonie interne variabili, a dieci anni dall’uscita di scena di Magnago l’egemonia oramai e’ della destra.
Che a causare questo stupore poi sia stata la clamorosa uscita di scena di Frasnelli, al quale il nuovo regolamento interno del partito ha impedito la ricandidatura al Consiglio provinciale e che negli ultimi anni ha capeggiato quella che era si’ l’ala sociale, ma anche la corrente piu’ dura del partito sul problema del bi-trilinguismo della toponomastica e dell’insegnamento piu’ o meno precoce e soprattutto libero della seconda lingua nelle scuole, richiesto dagli italiani, mi sembra poi paradossale, e conferma il fatto che ultimamente parti politiche ed etniche molto diverse possono avere obiettivi analoghi, per motivi diversi ed anche opposti, mentre parti politiche abbastanza simili possono avere interessi molto diversi.
Ad esempio sulla toponomastica la lobby degli hotelier dell’SVP si e’ dichiarata piu’ volte favorevole al bi-trilinguismo, soprattutto per la loro clientela italiana, e gli imprenditori del partito hanno piu’ volte ribadito che il bilinguismo e’ un requisito che serve, alla loro manodopera, e quindi va raggiunto, anche inventandosi, e concedendo, sperimentazioni scolastiche, mentre la corrente sociale, raggiunti gli obiettivi della piena occupazione e dell’edilizia sociale, era rigidissima.
Ricordo i miei amici sudtirolesi del PCI e della CGIL che, negli anni 70-80, dovendosi sempre difendere dall’accusa di essersi venduti ai nemici, sulle questioni etniche tifavano tutti per Benedikter (Alfons), e sostenevano che quest’ultimo nella prigionia in quella che era l’Unione Sovietica aveva letto i testi di Marx e Lenin in lingua originale e che continuava a militare nell’SVP per scelta tattica, essendo in realta’ da sempre su posizioni leniniste. Quando chiedevo loro di argomentare meglio le loro affermazioni con degli esempi, mi citavano la posizione di Benedikter sul problema dell’autonomia e dell’ autodeterminazione che, secondo loro, riprendeva le posizioni di Lenin e Stalin.
Un tempo caratteristica di quella sinistra che ora tende sempre di piu’ ad inseguire il consenso dei moderati ed attenta piu’ alla fiducia delle borse che a quella della povera gente, il radicalismo politico sembra avere ora traslocato in una destra sempre piu’ moderna, aggressiva e spregiudicata.
Questa destra ha vinto, culturalmente prima ancora che politicamente, da vent’anni a questa parte in Europa, e la caduta del Muro di Berlino e la fina della dittatura fatta in nome del proletariato e per conto delle nomenklature di partito ha dato il colpo di grazia definitivo alle speranze di costruire alternative a questo sistema.
Decisionisti (Craxi, Tatcher), populisti (Berlusconi, Le Pen), etnofederalisti (Bossi, Haider) oramai hanno definitivamente conquistato il cuore e la mente delle popolazioni europee, anche se non sempre si trovano ancora al governo, e costituiscono una risposta semplicistica ma apparentemente efficace alla complessita’ sociale che richiede invece uno sforzo di comprensione sempre maggiore.
Nella nostra isola felice l’SVP ha anticipato tutti di 50 anni e l’imperatore Durnwalder riassume in se’ tutte queste caratteristiche: decisionismo, populismo, federalismo etnico.
Da 20 anni chi critica la gestione dell’autonomia operata dall’SVP e dai suoi diversi alleati italiani di giunta e’ accusato di antiautonomismo, nazionalismo e fascismo, ed anche per questo motivo le persone di buon senso non si occupano piu’ di politica all’interno dei partiti italiani, destinati ad essere degli impotenti servi sciocchi o degli odiosi nazionalisti.
Il mondo italiano e’ in via di rapida assimilazione, che e’ una cosa ben diversa dall’auspicabile integrazione, nella periferia ed allo sbando nei grossi centri dove, essendo sempre piu’ evidente la scomparsa degli ambiti di intervento dello Stato e della Regione e non avendo mai sviluppato una reale autonomia dei Comuni, interviene sempre piu’ spesso il potere provinciale, cosi’ monoetnico, cosi’ arrogante, cosi’ antidemocratico, cosi’ ricco, cosi’ potente, che impone la pulizia etnica nella toponomastica, impedisce l’autonomia scolastica, requisisce gli edifici scolastici, interviene nell’elaborazione e nell’attuazione dei piani regolatori, impedisce una reale autonomia degli enti locali che, in base al principio della sussidiarieta’, dovrebbero essere piu’ vicini alla gente.
Gli italiani delle citta’, orfani dello Stato e della Regione, che non hanno mai espresso una classe dirigente locale che non si limitasse a gestire i rapporti con Roma o con Trento ma che si ponesse su un piano di pari dignita’, ne’ di odiosa arroganza ne’ di stupida sottomissione, con la Provincia/SVP, oramai vivono una strana condizione postmoderna, caratterizzata da un disincanto nei confronti della politica e da un rifiuto di analisi della realta’, passata, presente e futura, e ogni tanto hanno un soprassalto quando una nuova competenza passa dallo Stato, che spesso le gestiva male, alla Provincia, che le gestisce in maniera ammirevole per quanto riguarda l’efficienza, ma disdicevole per quanto riguarda la partecipazione democratica.
Una recente inchiesta svolta tra 500 giovani di lingua italiana ha accertato che l’88% si ritiene svantaggiato rispetto ai sudtirolesi, ma la maggior parte di questi intervistati si considera avvantaggiata rispetto alle altre realta’ italiane.
Per questo motivo per molte persone il modello decisionista, autoritario, populista, etnofederalista dell’SVP diviene un esempio da imitare e l’autonomia altoatesina, dove il 90% della minoranza nazionale vota per un partito etnico che attua una politica contro lo Stato ed il 50% della minoranza provinciale vota per un partito etnico che attua una politica contro la Provincia, viene presa a modello, nell’ingenua speranza di ridurre la complessita’ sociale che richiede si’ nuove forme politiche di partecipazione e di autodecisione, collettive e individuali, ma pensate nel presente per il futuro e non per rimpiangere il passato, ne’ quello del grande padre Francesco Giuseppe, che in una visione mitizzata della storia affratellava tutti i sudditi austro-ungarici, ne’ quello del grande Mussolini, che in una visione mitizzata della storia faceva arrivare i treni sempre in orario.
Possiamo avere il diritto di immaginare una autonomia dinamica, dalle competenze sempre maggiori, sempre piu’ ricca, sempre piu’ efficiente, ma anche sempre piu’ democratica e partecipativa. I primi obiettivi sono gia’ stati raggiunti, soprattutto per l’azione politica dell’SVP, l’ultimo dobbiamo ancora raggiungerlo. Insieme.
Bolzano, 7 ottobre 1999.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” l’ 8 ottobre 1999.