Autonomia, democrazia & umorismo 1
Che Guevara diceva che la pazienza e l’ironia sono le vere armi del rivoluzionario e Benigni ci ha dimostrato che l’umorismo ci puo’ salvare la vita anche nelle situazioni drammatiche, almeno nei film. Secondo il sociologo Berger, il comico rappresenta una “sospensione della quotidianita’”, che apre spazi verso realta’ trascendenti, verso il paradiso, che, se esiste, deve essere un posto dove ci si fa delle gran risate.
Io, molto modestamente, ho sempre cercato la dimensione comica dell’esperienza umana, che, se vista nella sua evoluzione storica, con un certo distacco, che non si oppone necessariamente alla passione, e lo spirito giusto, ci offre un mucchio di spunti di comicita’.
Per questo motivo ho ritenuto estremamente divertenti, oltre che interessanti, le esternazioni di Messner, il “re degli 8.000” (metri) il quale, dopo avere detto “se fossi italiano voterei per Viola”, dichiarando in questo modo di subordinare le scelte politiche all’appartenenza etnica, ha detto che Durnwalder, il “re degli 8.000” (miliardi), era l’erede spirituale di Langer, forse un po’ meno idealista, ma sicuramente piu’ pragmatico, e per questo ancor piu’ utile dal punto di vista politico e sociale, e mecenate quasi unico anche nel settore importantissimo dei musei. Queste sono solamente alcune delle dichiarazioni che hanno creato negli ultimi anni del secolo scorso non pochi imbarazzi nei verdi locali, abituati a vedere e denunciare anche le carenze democratiche dell’autonomia, e che si sono in seguito confrontati anche con le carenze democratiche del loro partito, che ha imposto loro la candidatura di Messner, dimostrando che il rapporto centro/periferia riguarda anche chi ribadisce continuamente e giustamente che i fini devono vedersi continuamente nei mezzi che si utilizzano per il loro raggiungimento e che il fine quindi, anche il miglior fine, non giustifica qualunque mezzo.
Seguendo sui giornali gli avvenimenti che hanno portato nei giorni scorsi all’approvazione della modifica alla legge costituzionale riguardante la Regione Trentino-Alto Adige il mio umorismo si e’ messo in moto e dal data base delle barzellette e’ emersa, con una certa insistenza, una barzelletta che narra di un uomo, chiamiamolo Mario, che voleva convincere l’amico Toni ad andare a funghi con lui. Toni pero’ era preoccupato dai possibili morsi delle vipere, ma Mario lo convinse, dicendo che, in caso di morsicatura, sarebbe stato sufficiente farsi ciucciare un po’ la ferita dall’amico. I due si incamminarono ed in seguito una vipera morse Toni mentre era intento ad urinare. Invocato soccorso Mario, che gli aveva garantito che lo avrebbe salvato e ciucciato in qualsiasi momento, vedendo che la vipera aveva morso proprio il pene di Toni e non avendo esperienze omosessuali nemmeno nella proprie fantasie piu’ nascoste, gli disse, schifato: “O ce la fai tu, da solo, o sei destinato a morire”.
Pur con l’opposizione dei sudtirolesi, De Gasperi riusci’ ad allargare il quadro di riferimento dell’autonomia prevista dall’Accordo di Parigi all’intera regione, offrendo l’autonomia anche al Trentino e ponendosi come sentinella nei confronti dei sudtirolesi e difensore degli equilibri etnici della regione, complessivamente favorevoli anche agli altoatesini di lingua italiana.
Subi’to dai sudtirolesi, che avrebbero voluto l’autodeterminazione, e non voluto dagli altoatesini, che politicamente si sentivano tutelati dallo Stato, il primo statuto venne gestito all’epoca di Odorizzi – che fu anche l’epoca della Guerra fredda e dell’estromissione delle sinistre dalle responsabilita’ di governo – con una logica centralistica/regionale/trentina e quindi con i sudtirolesi come gruppo minoritario, che oggettivamente rischiava l’assimilazione, senza la piena applicazione dell’articolo 14 che prevedeva l’esercizio dell’autonomia da parte della Regione anche attraverso deleghe alle due Province.
Dopo la crisi politica del primo statuto, il Los von Trient ed il terrorismo, con l’emanazione del secondo statuto la Regione e’ stata progressivamente svuotata e le competenze sono state trasferite alle due Province. I trentini hanno fatto questa operazione nei confronti delle minoranze nazionali residenti in Alto Adige con la stessa logica con la quale posso regalare biancheria intima alle mie amanti, facendo quindi un regalo che sicuramente mi viene restituito, ulteriormente valorizzato. Per venti anni dopo l’emanazione del secondo statuto le minoranze nazionali presenti nel Trentino sono state poco riconosciute, ma non tutelate, ed il progressivo riconoscimento e la tutela sono cresciute man mano che nell’opinione pubblica italiana crescevano le perplessita’ sulla invidiabile realta’ trentina, dove ci sono i soldi e le competenze dell’Alto Adige senza i relativi problemi etnici.
Ne’ il primo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie provinciali e di fatto non ha concesso il pieno autogoverno delle minoranze nazionali, ne’ il secondo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie comunali e non ha concesso la piena e paritaria compartecipazione degli altoatesini alla gestione dell’autonomia provinciale dell’Alto Adige, hanno creato i presupposti per quel sentimento di solidarieta’, senso civico di appartenenza e lealismo istituzionale che dovrebbero garantire i presupposti per un pieno utilizzo, su un piano di pari dignita’, delle potenzialita’ dell’autonomia.
Ora, ancora una volta, i trentini risolvono loro problemi, questa volta relativi alla governabilita’, con un patto con l’SVP che separa ulteriormente le due Province. Non ho rimpianti per la Regione, ne’ per quella degli anni Cinquanta, che ha tradito le pur minime aspettative dei sudtirolesi, ne’ per quella degli anni Ottanta, che ha tradito le pur minime aspettative degli altoatesini, ma mi sembra che ancora una volta, quando ci si riferisce al territorio, facendo finta di modernizzare la politica in questo modo in realta’ medievale, ancora una volta prevalga la logica di chi, negli ultimi cento anni, ha rivendicato e imposto, quando ci e’ riuscito, confini diversi, ma sempre favorevoli al proprio gruppo linguistico. Tolomei proponeva negli anni Venti circoscrizioni elettorali nella regione applicando un confine verticale, perche’ in questo modo in entrambe le circoscrizioni la maggioranza sarebbe stata degli italiani; il primo statuto di autonomia riguardo’ l’intera regione, per gli stessi motivi, ed ora le competenze vanno alle due Province con la stessa logica.
L’80% dei sudtirolesi che, in cambio di tutela etnica, ricchezza e buon governo ha sacrificato alcuni elementi fondamentali della democrazia, continuera’ a votare per quel partito che ha giustamente lottato ed ottenuto una forte autonomia provinciale in quanto minoranza nazionale, chiedendo quindi un trattamento politico che garantisse competenze e finanziamenti considerando gli enti locali e le minoranze elementi di democrazia e ricchezza, non misurabili solamente in termini numerici, i quali sicuramente eliminerebbero le minoranze. Una volta ottenuta questa autonomia, da anni viene gestita rispetto agli enti locali territoriali ed alle minoranze politiche ed etniche provinciali contando solamente i rapporti numerici, con una logica che conferma la famosa affermazione di Mussolini secondo il quale le situazioni ed i problemi delle minoranze non si possono risolvere, ma solamente capovolgere.
Da quasi venti anni il partito che piu’ rappresenta l’orientamento politico degli altoatesini e’ all’opposizione (fortunatamente), e i partiti italiani partner SVP, tutti insieme, non hanno i voti di questo partito. Posso capire che nella storia si creino queste situazioni temporanee, ma se diventano fenomeni di lunga durata forse sarebbe il caso di interrogarsi sui motivi di questa situazione anomala. Con la stessa logica nel Consiglio comunale di Bolzano si potrebbe fare una maggioranza senza l’SVP, rispettando lo Statuto cooptando in giunta due sudtirolesi non SVP, ma poche persone convinte dell’importanza della rappresentanza democratica, che considera la matematica uno degli elementi, ma non necessariamente l’unico o il piu’ importante, condividerebbero questa scelta.
Le recenti iniziative dell’ex deputato comunista trentino De Carneri, che ha proposto ai nonesi di dichiararsi ladini al prossimo censimento, e dell’attuale deputato DS Schmid, che ha presentato un disegno di legge per conferire la cittadinanza italiana anche ai figli dei trentini emigrati in Sud America prima del 1918, quando questi erano ancora cittadini austriaci, non mi fanno sperare in quell’attenzione ai problemi della convivenza dell’Alto Adige di cui parla Dellai ogni volta che si riferisce all’Alto Adige, e l’auspicio di avere un consigliere provinciale per ogni vallata trentina non mi sembra sia poi cosi’ innovativo. C’erano cose simili, e forse migliori, anche nel medio evo.
Nel recente dibattito parlamentare non si e’ tenuto conto della mozione approvata dal centrosinistra altoatesino, ma solamente dalla mozione approvata dal Consiglio provinciale di Bolzano con i soli voti SVP, che sicuramente sono la maggior parte dei voti e che altrettanto sicuramente non fanno schifo, ma dovrebbero fare pensare.
Poco importa che la contraddizione attraversi il Polo (che ha votato la proposta di riforma elettorale perche’ interessava le “sue” regioni) o l’Ulivo. Come nella barzelletta sopracitata, il deputato del Polo o dell’Ulivo, al quale i rappresentanti degli altoatesini chiedevano un po’ di comprensione per la situazione altoatesina, rispose, schifato: “O ce la fai tu, da solo, o sei destinato a morire”.
Bolzano, 28 ottobre 2000.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 1° novembre 2000.