Memoria collettiva e vita quotidiana 1
Il Comune di Bolzano si e’ costituito parte civile nel processo che vede imputato un boia del Lager di via Resia. E’ lo stesso Comune che, alla fine degli anni Sessanta, quando il problema degli alloggi era ancora pressante e decine di famiglie di proletari italiani abitavano nei capannoni del Lager, ha consentito la totale distruzione dello stesso, a parte l’anonimo muro di cinta, per l’edificazione di altrettanto anonimi condomini.
La Provincia di Bolzano ha deciso di cancellare l’intitolazione di una scuola superiore di lingua tedesca di Bolzano ad un sudtirolese nazista. E’ la stessa Provincia che, decenni orsono, aveva deliberato l’intitolazione di questa ed altre scuole a sudtirolesi nazisti, e negli anni Novanta ha tenacemente boicottato l’intitolazione di una scuola superiore di lingua italiana di Bressanone ai giudici Falcone e Borsellino.
Quando si parla di Comune, Provincia, altoatesini e sudtirolesi facendo riferimento ad avvenimenti accaduti nel corso dei decenni scorsi si deve ovviamente pensare che con questi termini collettivi intendiamo diverse persone ma anche persone diverse: le entita’ amministrative ed i gruppi linguistici sono gli stessi, ma, nel corso del tempo, im Lauf der Zeit, sono composti da persone diverse, che vivono condizionati dal passato, divenendo protagonisti del loro presente e condizionando il futuro, in una catena infinita.
Non tutti gli anelli di questa catena ci sono sempre presenti: a livello individuale e collettivo memoria ed oblio operano continuamente, selezionando e scartando cio’ che e’ utile e cio’ che e’ inutile ricordare. Le operazioni di rimozione di cio’ che e’ inutile, doloroso o sconveniente ricordare sono argomento di discussione di psicologi e psicanalisti per il livello individuale; storici, politici e tutte le persone socialmente impegnate per il livello collettivo.
In uno dei numerosi libri pubblicati, non a caso, negli ultimi anni sul problema dell’uso pubblico della storia, sull’ipertrofia dell’informazione e la capacita’ di rielaborazione del passato nelle societa’ che cambiano alla velocita’ della luce, uno storico riportava gli esempi degli smemorati e delle persone che non riescono a dimenticare nulla, giudicando il secondo caso non meno penoso del primo, anche se sicuramente meno diffuso.
Per quanto riguarda la memoria collettiva dell’Alto Adige/Suedtirol i diversi gruppi hanno memorie diverse, diversamente costruite ed alimentate.
I sudtirolesi hanno costruito con successo il mito/immagine di se stessi come vittime del fascismo e del nazismo. Con questa immagine hanno raggiunto ottime posizioni politiche e, non a caso, solamente dopo averle raggiunte si e’ diffusa una nuova storiografia che ha potuto rileggere il Novecento vedendo anche l’adesione opportunistica di alcuni sudtirolesi al fascismo e l’adesione entusiastica della maggior parte dei sudtirolesi al nazismo.
Gli altoatesini, che per decenni hanno continuato a considerarsi lo Staatsvolk, senza preoccuparsi di conoscere la storia locale e perfino la lingua locale, solamente ultimamente hanno iniziato a cercare di conoscere la realta’ locale, della quale oramai fanno parte da un secolo. Il partito che piu’ li rappresenta fino a pochi anni orsono urlava “siamo in Italia, parliamo l’italiano, non il tedesco” e, in vista della provincializzazione della scuola, sosteneva che gli altoatesini sarebbero stati obbligati a studiare Hofer al posto di Garibaldi, purtroppo validati dalla assurda proposta del dicembre 1997, in seguito ritirata a furor di popolo, della Sovrintendenza scolastica di centrare gli esami della maturita’ del 1998 sulla storia locale al posto, non accanto, alla storia nazionale/generale.
L’interesse per il passato e’ proporzionale ai progetti per il futuro: chi vive alla giornata, esistenzialmente o politicamente parlando, non ha alcun interesse a conoscere la storia, e questa mancanza di progettualita’ politica e di interesse per il passato purtroppo sembra essere una caratteristica nei nostri tempi.
La storia locale non deve essere utilizzata come un’arma nei confronti del nemico, ideologico o etnico che sia, ne’ per rafforzare inossidabili identita’, ideologiche, come negli anni settanta, o etniche, come nei progetti politicamente determinati di costruzione di identita’, padane o tirolesi che siano, ma per educare alla complessita’, in un processo di revisione continua delle identita’.
Bolzano, 8 giugno 2000.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 13 giugno 2000.