I nomi e le bandiere 1
Che cos’e’ un simbolo?
Psicologi, letterati, linguisti, filosofi, matematici, antropologi, politologi ed altri ne danno definizioni diverse, a seconda delle prospettive. Quando si parla di valori simbolici ed identita’, anche e soprattutto nella prospettiva etnica, tutti sono concordi nel confinarla nel limbo dell’irrazionalita’, generico contenitore di problemi insoluti e forse irrisolvibili.
Come scrive l’antropologo Carlo Tullio-Altan, le diverse prospettive relative a diversi casi di studio concordano nell’affermare che alcuni elementi costitutivi dell’identita’ etnica sono comunque presenti:
l’epos, la trasfigurazione simbolica della memoria storica, in quanto celebrazione comune del passato;
l’ethos, la sacralizzazione di norme ed istituzioni di origine civile e religiosa, sulle cui basi si costruisce la socialita’ del gruppo;
il logos, attraverso cui passa la comunicazione sociale;
il genos, la trasfigurazione dei rapporti di parentela;
il topos, l’immagine simbolica della patria e del territorio
Mi dispiace profondamente deludere i nazionalisti ovviamente monoetnici, ma sempre piu’ spesso accade di trovare, in molte regioni del globo, territori dove vivono diversi gruppi linguistici, ed ho come l’impressione che in futuro le situazioni non si semplificheranno, tutt’altro.
Nella nostra regione, dove negli ultimi 150 anni le dimensioni dei gruppi hanno subito notevoli variazioni politicamente determinate (l’immigrazione italiana in Sudtirolo negli anni trenta, le opzioni dei sudtirolesi negli anni quaranta, il notevole ridimensionamento degli altoatesini negli ultimi vent’anni); il rapporto centro/periferia ha visto Innsbruck lottare contro Vienna, Trento contro Innsbruck, Bolzano contro Trento, Bolzano contro Roma (per la cronaca in termini sportivi: Bolzano, anzi Bozen, e’ come la Juventus) ed i rapporti di maggioranza/minoranza si sono piu’ volte invertiti – confermando purtroppo la famosa affermazione di Mussolini secondo il quale le situazioni ed i problemi delle minoranze non si possono risolvere, ma solamente capovolgere -, ogni gruppo, evidentemente sempre egemonizzato dai nazionalisti, ha operato non solamente per affermare il proprio ordine simbolico, ma ha anche tentato di eliminare le tracce degli altri.
Per quanto riguarda i simboli-monumenti, il topos, i nazionalisti italiani, visti da alcuni come liberatori e da altri come occupanti, ovviamente non costruirono il monumento alla loro vittoria accanto a quello che gli austriaci avevano, in verita’ forse troppo precocemente, iniziato a costruire, ma al suo posto, dopo averlo distrutto. Ovviamente all’arrivo dei nazisti, visti da alcuni come liberatori e da altri come occupanti, alcuni considerarono ovvio iniziare a distruggerlo, iniziando dalle erme di Battisti, Filzi e Chiesa, considerati da alcuni dei veri eroi, da altri dei veri traditori.
Per quanto riguarda i simboli-linguistici, il logos, i nazionalisti italiani, visti da alcuni come liberatori e da altri come occupanti, ovviamente non imposero la toponomastica italiana, quasi completamente di origine, diciamo cosi’, fantasiosa, accanto a quella tedesca, ma al suo posto, dopo aver dichiarato illegittimo l’uso di quest’ultima.
Per quanto riguarda i simboli-storici, l’epos, i nazionalisti italiani, visti da alcuni come liberatori e da altri come occupanti, ovviamente non ricostruirono tutto il passato, ma solamente quello che piu’ tornava utile politicamente/etnicamente, andando a ricercare nel periodo romano la giustificazione della presenza-sovranita’ italiana, dimenticando che in questo modo avrebbero potuto rivendicare anche la Gallia. Anche la storia degli elementi della oggettiva presenza italiana nel passato (i romani, il magistrato mercantile, ecc.) non poteva, per i nazionalisti italiani, esistere accanto a quella degli elementi culturali e storici tedeschi, ma al suo posto.
Per quanto riguarda i simboli-normativi, l’ethos, i nazionalisti italiani, visti da alcuni come liberatori e da altri come occupanti, ovviamente non si limitarono ad allargare la sovranita’ dello Stato accanto alla tradizione amministrativa locale basata sull’autogoverno dei Comuni, che il Commissario civile Credaro segnalava al governo centrale consigliando di applicarla anche nelle vecchie province italiane, ma al suo posto. E dopo la liberazione il centralismo/centrismo trentino non applico’ le competenze della Regione accanto a quelle delle Province, ma al loro posto. E dopo l’emanazione dello Statuto del 1972 il centralismo provinciale non applico’ le competenze della Provincia accanto a quelle dei Comuni, ma al loro posto. Fortunatamente le norme religiose, pur impartite in lingue diverse, sono sempre state comuni, e forse questo e’ uno dei motivi per cui la situazione non e’ mai degenerata.
L’ultimo contratto sociale che regola la vita di questa terra, il “Pacchetto”, pur elaborato oltre trenta anni orsono e non avendo potuto/voluto prevedere, ad esempio, la diffusione di famiglie bilingui, la possibilita’ di praticare attivita’ politiche, culturali, sportive ecc. in comune, ma sempre in organizzazioni separate etnicamente ed ovviamente a volte contrapposte, ha garantito trenta anni di sviluppo, anche se non sempre equilibrato. In attesa di elaborare simboli comuni, cerchiamo almeno di garantire ad ognuno la possibilita’ di riconoscersi in una propria storia, nella propria lingua, nelle proprie bandiere, nella propria toponomastica, accettando e valorizzando la molteplicita’ delle culture, dei simboli, dei punti di vista, nella speranza, ad esempio, che il pieno rispetto del plurilinguismo nella toponomastica consenta agli altoatesini di capire che la microtoponomastica italiana e’ spesso ridicola e possano scegliere, liberamente, di utilizzare quella che per molti secoli ha caratterizzato il territorio, sedimentando al proprio interno, tra l’altro, molteplici segni di presenze e culture diverse.
L’azione politica e culturale dei nazionalisti che si sono succeduti negli ultimi ottant’anni ha determinato una situazione paradossale, per cui in una terra autonoma, plurilingue e ricchissima, non solo culturalmente, che potrebbe essere un modello di laboratorio di convivenza per l’intera Europa, troviamo gli italiani piu’ antitedeschi ed i tedeschi piu’ antiitaliani d’Europa, isole comprese.
Chi ha sempre voluto imporre esclusivamente i propri simboli, non accanto ma al posti degli altri, pensando che sui pennoni ci sia posto solamente per una bandiera, la propria; che sui cartelli ci sia posto solamente per una toponomastica, la propria; che l’unico ente sovrano debba essere quello dove un gruppo e’ maggioritario, il proprio, alimentando un nazionalismo reciproco e diffusissimo nonostante l’opulenza, nega non solo il passato ma anche il presente ed il futuro di questo territorio.
In un’epoca nella quale non piu’ la nazione ma la rivendicazione del diritto di autodeterminazione degli stili di vita e’ il vero “plebiscito di ogni giorno”, la nostra autonomia e la sua ricchezza deve moltiplicare le opportunita’, non semplificare la complessita’.
Come scriveva Brecht:
“Il signor K. non riteneva necessario vivere in un paese determinato. E diceva: “Posso morire di fame ovunque”. Un giorno pero’, mentre girava per una citta’ occupata da un nemico del paese in cui viveva, gli venne incontro un ufficiale nemico che lo costrinse a scendere dal marciapiede. Scendendo il signor K. si accorse di essere indignato non solo contro quell’uomo, ma particolarmente contro il paese al quale quell’uomo apparteneva, al punto da desiderare che fosse cancellato dalla faccia della terra. Come mai, si domando’ il signor K., in quel momento sono diventato nazionalista? Proprio perche’ ho incontrato un nazionalista. Ed e’ per questo che bisogna estirpare l’imbecillita’, giacche’ essa rende imbecille chi l’incontra.”
Non facciamo i bambini andando a cercare “chi e’ stato il primo a cominciare”. Facciamola finita con questa logica imbecille e pericolosa.
Bolzano, 20 maggio 2000.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 21 maggio 2000.