Il convegno de “Il Mulino”, 40 anni dopo 1
Nel 40° anniversario della Notte dei fuochi, quando, in coincidenza con le celebrazioni del Sacro cuore di Gesu’, il cattolicissimo movimento terrorista sudtirolese organizzo’ oltre 30 episodi terroristici in una sola notte, puo’ essere utile ricordare quegli avvenimenti che segnarono in maniera indelebile la storia locale. A partire dalla meta’ degli anni Cinquanta e fino alla meta’ degli anni Sessanta vennero realizzati complessivamente oltre 350 episodi terroristici contro i simboli dello Stato italiano, in una escalation di violenza che giunse a colpire anche le vite umane.
Dopo il periodo dell’Alpenvorland, nel quale per la prima volta gli altoatesini si trovarono, isolati, a fare i conti con il sentimento nazionale dei sudtirolesi, che cozzava con la cittadinanza loro imposta con la forza, in quel frangente gli altoatesini si resero nuovamente conto di avere a che fare con un movimento politico estremamente determinato ed articolato, che si muoveva sia sul piano politico/pubblico/legale che su quello politico/militare/clandestino.
Oltre alle numerose reazioni di carattere politico e militare da parte dello Stato italiano democristiano – ricordiamo che Scelba sosteneva che “l’Alto Adige non e’ un condominio”, per ribadire l’assoluta sovranita’ italiana nel territorio ed il rifiuto di considerare l’Austria un partner nella questione, considerata di carattere interno e da affrontare anche in termini militari -, vi furono anche iniziative di carattere politico-culturale, che cercarono di affrontare la questione proponendo i problemi relativi alla tutela delle minoranze nella ricerca di una integrazione reciproca tra i gruppi di maggioranza/minoranza nazionale/locale, in quella simmetria politico-sociale che da sempre caratterizza la storia di questa terra.
Una di queste iniziative fu il “VI Convegno degli amici e collaboratori del Mulino”, il primo che non si svolse a Bologna, intitolato “Una politica per l’Alto Adige”, svolto a Bolzano il 4 e 5 novembre 1961 nei locali del Consiglio provinciale.
La rivista “Il Mulino”, uno dei luoghi di discussione politico-sociologica piu’ autorevoli del mondo culturale italiano, si e’ spesso interessata alla “questione altoatesina” come paradigma della necessita’ di trasformare le minoranze da problema a risorsa, da fossato a ponte tra i popoli e gli stati. La frase di Federico Chabod che compare nel frontespizio, riferendosi all’irredentismo che spesso si trasforma in nazionalismo nelle zone di frontiera, auspicava: “Noi dobbiamo farne invece degli anelli di collegamento tra una nazione e l’altra, dei ponti di passaggio su cui s’incontrino gli uomini dei vari paesi e imparino a smussare gli angoli, a lasciare cadere diffidenze, a deporre la boria delle nazioni.”
Il direttore della rivista era Luigi Pedrazzi e tra gli organizzatori bolognesi e come relatore troviamo un europeista e federalista convinto come Altiero Spinelli.
Luigi Pedrazzi nell’introduzione ricordava opportunamente la distinzione tra cittadinanza e nazionalita’, perche’ “in uno Stato di liberta’ e di diritto nessuna persona e nessun gruppo puo’ venire sacrificato e avvilito in cio’ che ha di peculiare e di essenziale” e, con parole che rilette dopo 40 anni sembrano preveggenti, sosteneva: “Il moderno Stato democratico o e’ Stato di autonomia o e’ destinato a cedere il campo a organismi piu’ rozzi e oppressivi, ma piu’ efficaci nell’organizzare un equilibrio tra autorita’ e consenso popolare. La nostra scelta e’ una scelta democratica e, quindi, e’ sempre a favore dell’autonomia – sia pure in un quadro di generale equita’, perche’ autonomia non significa necessariamente immunita’ e privilegi – e’ sempre per le minoranze, siano esse di lingua tedesca nell’ambito della piu’ vasta comunita’ italiana, o di lingua italiana o ladina nell’ambito della comunita’ locale.”
Silvius Magnago, che aveva capeggiato la presa del potere nel partito da parte di quelli che la stampa italiana definiva “giovani turchi”, spodestando i “Dableiber” che l’avevano fondato nel maggio 1945, riprese testualmente le sue dichiarazioni programmatiche pronunciate nella prima riunione del Consiglio regionale nel dicembre 1948: “Solo quando tutti i gruppi si sentiranno liberi da timori e paure si avra’ la premessa per quella collaborazione di cui si continua a parlare. Fino a quando un gruppo o l’altro ha paura di soccombere, questa premessa psicologica manca. Quando questa paura non ci sara’ piu’, la collaborazione verra’ da se'”. Concetti in cui evidentemente credeva molto, vista l’energia spesa dal suo partito anche dopo decenni di abbondanti libagioni e di spremute di limoni per ravvivare continuamente la paura etnica. Ribadi’ anche che l’autonomia provinciale e la tutela delle minoranze nazionali non avrebbero necessariamente danneggiato il gruppo italiano: “Qui non vale il detto “mors tua, vita mea”. C’e’ dunque una soluzione per tutt’e due le parti.”
Giuseppe Farias e Lidia Menapace, ispiratori ed organizzatori locali del convegno, da loro voluto per contrastare il centralismo regionale degli esponenti trentini del loro stesso partito ed il nazionalismo statalista degli esponenti altoatesini del loro stesso partito, nell’introduzione ricordarono che la lingua e la cultura sono dei mezzi e non dei fini: “Come nessun imprenditore, di nessuna lingua, rischierebbe il suo capitale per la difesa del Volkstum o dell’italianita’, cosi’ non sarebbe giusto, per nessuno, qui, che il rimanere di lingua italiana o di lingua tedesca debba essere pagato con un insufficiente sviluppo umano, culturale o economico. Non si puo’ dimenticare infatti che anche la lingua e la cultura sono strumenti per l’armonico sviluppo della persona umana, non dei fini o dei valori ai quali lo sviluppo stesso debba essere sottoposto.”
E nelle conclusioni Lidia Menapace ricordo’ la “sindrome da minoranza” che gia’ allora caratterizzava le popolazioni locali: “Qui esistono due gruppi che hanno tutti e due il complesso di essere minoranza. Sembra che non esista una maggioranza, tutti sono minoranza, tutti percio’ rivelano quelle curiose deformazioni psicologiche e spirituali che vengono dallo stato d’animo relativo. Noi riteniamo che norme di garanzia, strutture giuridiche che rendano difficile la sopraffazione, ma che non siano cosi’ rigide da obbligare alla divisione, possano essere uno strumento utile a togliere questa paura (…)”
Alla fiera delle occasioni perdute, quarant’anni dopo, con dei rapporti di forza capovolti, le questioni sono ancora aperte
Bolzano, 28 ottobre 2001.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 28 ottobre 2001.