Il Capo dello Stato & il Presidente della Repubblica 1
“Qui e’ terra dello Stato italiano, vissuta per antica storia da etnie diverse che hanno diritto di sentirsi ognuna a casa propria”, disse Oscar Luigi Scalfaro nel corso della sua visita ufficiale nel marzo del 1997, ribadendo con forza il principio della definitiva appartenenza territoriale allo Stato italiano della provincia/Provincia di Bolzano, della giusta tutela delle minoranze nazionali e della necessita’ di inquadrare le richieste di trasformazione istituzionale della Regione all’interno del progetto di riforma dello Stato allora in corso di discussione nella Commissione Bicamerale.
Con quell’atteggiamento Scalfaro si poneva nei confronti della realta’ locale piu’ come Capo dello Stato – l’istituzione che, secondo Weber, detiene il monopolio dell’uso della forza legittima – che come Presidente della Repubblica – nel senso delle molteplici istituzioni che governano la cosa pubblica del popolo che, secondo Cicerone, e’ l’aggregato di uomini unito dal consenso dato ad un diritto comune -.
Con lo sviluppo dello stato moderno e la progressiva articolazione dei poteri il senso dei due termini si e’ spesso aggrovigliato e con la formazione degli stati nazionali ottocenteschi si e’ reso indispensabile distinguere tra cittadinanza e nazionalita’, visto che, nonostante le retoriche nazionali, sostanzialmente simili pur nelle loro diversita’, ogni stato comprendeva diversi popoli/nazionalita’, che non sempre esprimevano consenso ad un diritto comune, ma a volte richiedevano anche il diritto di autodeterminazione.
Non a caso furono i socialdemocratici dell’Impero plurinazionale austro-ungarico ad affrontare teoricamente le questioni legate al rapporto tra stato e nazionalita’, superando la concezione naturalistica della nazione come comunita’ di destino, di carattere, di luogo e di cultura ma anche il principio di autodeterminazione dei popoli, visto che gia’ alla fine dell’Ottocento non esistevano in Europa territori omogenei dal punto di vista nazionale, e, consapevoli che nei diversi territori dell’Impero le stesse nazionalita’ erano a volte maggioranza/dominante ed a volte minoranza/dominata, auspicavano il principio di autonomia personale oltre che di gruppo e territoriale.
Negli anni Novanta del secolo scorso, anche conseguentemente all’affermarsi del fenomeno leghista, in Italia si e’ tornati a parlare del sentimento nazionale, tematica accantonata per decenni dopo l’abuso fattone dalla retorica fascista, e dei concetti legati all’identita’ collettiva di carattere nazionale e regionale.
Storici, antropologi e sociologi ci hanno ricordato come sono stati creati e come agiscono questi sentimenti collettivi, che non hanno nulla di naturale, ma sono la conseguenza di operazioni di politica culturale/nazionale, nation-building ottocentesche, proprio mentre la Lega li riproponeva, cento anni dopo, su scala regionale, inventandosi, con notevole fantasia e successo popolare, storie/miti fondativi, inni e bandiere, feste e riti, stereotipi di appartenenza e contrapposizione.
Cosi’ come si possono creare, ma anche distruggere, i sentimenti identitari di carattere nazionale, si possono creare e distruggere sentimenti di appartenenza di carattere regionale, provinciale od euroregionale, ed e’ stato interessante vedere come queste “nuove” comunita’ territoriali, la cui costruzione e ricostituzione non e’ mai definitiva e per certi versi e’ una conseguenza della crisi degli stati nazionali, si e’ sviluppata anche recentemente con lo sguardo rivolto al passato, spesso mitizzato, piuttosto che al presente od al futuro.
Nella nostra regione, anche conseguentemente alla crisi politica nazionale dei primi anni Novanta, il disorientamento della classe politica trentina nella fase di esplosione postdemocristiana ha portato alla ricerca di una nuova fase di costruzione politica ed identitaria anche attraverso la costituzione dell’euroregione tirolese, che, soprattutto nei primi anni, era vista con una notevole caratteristica storica ed etnica. I trentini, dopo avere gestito l’autonomia del 1948 anche come “poliziotti” dei sudtirolesi, giocavano spesso il ruolo di tirolesi di lingua italiana quando si dovevano rapportare con lo Stato italiano per ottenere nuove competenze alla Regione ed alle due Province, ed il ruolo di unica componente italiana nella costruzione dell’Euregio, dimenticandosi che, a Nord di Salorno, vivono oltre 100.000 italiani, che erano 10.000 prima dell’annessione ma erano 130.000 prima dell’attuazione dell’autonomia del 1972. Anche da questo punto di vista il cambiamento della maggioranza del governo provinciale trentino avvenuto nel 1998 non sembra significativo, ed i progetti di partito territoriale provinciale trentino o regionale trentino/sudtirolese sembrano fatti sempre ignorando questa realta’. Anche per questo motivo gli altoatesini sono forse gli unici cittadini italiani che si irrigidiscono ogniqualvolta lo Stato delega competenze alle Regioni ed alle Province, sentendosi paradossalmente piu’ tutelati dallo Stato, cosi’ lontano e cosi’ italiano, che non dalla Provincia, cosi’ vicina e cosi’ tedesca. Non e’ inutile ricordare che da venti anni i politici altoatesini che governano la Provincia ed i Comuni insieme all’SVP sono scelti dal partito che rappresenta i sudtirolesi e non dagli elettori altoatesini, che, sbagliando, per molti anni sono stati contrari ad ogni forma di integrazione culturale e di autonomia locale.
Il Presidente della Repubblica Ciampi nel corso del suo mandato ha ricordato piu’ volte l’importanza del sentimento patriottico, visto come sentimento comunitario democratico, per rafforzare il lealismo istituzionale e solidale, che non deve essere confuso con il nazionalismo, che ha sempre combattuto la contaminazione e l’eterogeneita’ culturale.
In Italia lealismo istituzionale e senso civico spesso sono ancora molto carenti, e nelle regioni settentrionali le richieste di regionalismo spesso non sono ispirate dai principi democratici della sussidiarieta’ e della democrazia, ma dall’egoismo locale e dalle richieste di liberarsi dei tempi e dei costi che lo Stato nazionale ha avuto per decenni e che ora sono visti come un peso che serve sempre meno per rapportarsi con l’Europa ed il sistema/mondo. In tempi di globalizzazione molti sostengono che le uniche dimensioni importanti sono quelle estremamente piccole, che si possono controllare personalmente, anche in nome dell’etnofederalismo, e quelle estremamente grandi, per comprare la manodopera dove costa meno e vendere le merci dove rendono di piu’.
In Alto Adige/Suedtirol l’autonomia provinciale – che lo Stato non ha regalato per propria gentile iniziativa, ma e’ stata conquistata con una lotta decennale costata decine di morti e centinaia di attentati terroristici contro lo Stato e contro la Regione da parte delle minoranze nazionali – ha garantito sicuramente e giustamente le minoranze nazionali rispetto allo Stato italiano, ma altrettanto sicuramente ed ingiustamente non ha saputo coinvolgere nella gestione dell’autonomia i cittadini di lingua italiana che non si sentono piu’ garantiti dallo Stato e dalla Regione e non si sentono ancora garantiti dalla Provincia, nella quale i rapporti quantitativi e soprattutto qualitativi sono invertiti.
Le Regioni a statuto speciale, previste dalla Costituzione del 1948 per motivi di carattere geografico e per la presenza di minoranze etniche, potranno avere delle motivazioni per la propria sopravvivenza solamente se riusciranno a rappresentare un modello per le altre regioni italiane, che nei prossimi anni riceveranno delle competenze simili e forse anche maggiori.
Sicuramente l’isolamento territoriale non potra’ piu’ essere considerata una valida motivazione nell’epoca della globalizzazione, ne’ la presenza di minoranze etniche nell’epoca della mobilita’ territoriale sempre piu’ accentuata. E’ forse il caso di ricordare che nella Provincia la comunita’ ladina, la comunita’ che puo’ vantare la presenza territoriale continua piu’ antica nel territorio, ha una consistenza oramai inferiore a quella degli extracomunitari immigrati negli ultimi vent’anni.
Per questo motivo l’autonomia sudtirolese, vista da molti solamente come strumento di tutela delle minoranze nazionali e che sicuramente ha raggiunto questo giusto obiettivo, deve trasformarsi in uno strumento di autogoverno territoriale in grado di gestire la modernita’, la complessita’ e la diversita’, dando a tutti i gruppi, non solamente a quelli statutariamente riconosciuti, ma anche ai cittadini bilingui ed agli ultimi arrivati, e a tutti gli individui, che non necessariamente devono schierarsi o identificarsi con un gruppo etnico per potere godere dei diritti civili, la possibilita’ di autodeterminare la propria esistenza, senza che sia la minoranza nazionale/maggioranza locale a decidere, ad esempio, quali sono i rappresentanti politici degli altoatesini o cosa questi devono fare nelle loro scuole.
La nazione ottocentesca vista come comunita’ di destino, di carattere, di luogo e di cultura, con i propri elementi costitutivi simbolici chiari e netti probabilmente non e’ mai esistita, ma sicuramente non esiste piu’. Tutte le realta’ territoriali, anche le piu’ piccole ed apparentemente omogenee, sono caratterizzate da una molteplicita’ di destini, caratteri, luoghi di origine e di transito, culture, storie ed una mentalita’ interculturale che rispetti e valorizzi le diverse manifestazioni del pluralismo culturale e’ oramai una necessita’ di sopravvivenza oltre che un dovere morale.
L’autonomia provinciale sudtirolese e la rigida suddivisione per gruppi etnici ha avuto sicuramente una sua funzione, ma ora e’ una finzione. Ricca, splendida, pulita ed ordinata: una finzione che funziona. Per ora.
Bolzano, 10 luglio 2001.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 10 luglio 2001.