Integrazione & assimilazione 1
Come nei dibattiti postelettorali tutti sembrano essere soddisfatti, perche’ nel passato c’e’ sempre un dato peggiore al quale fare riferimento, anche nelle parole pronunciate recentemente da Ciampi in Alto Adige ognuno ha pazientemente trovato quello che ha voluto. Soddisfatta l’SVP – dopo avere alimentato per anni il disprezzo nei confronti dello Stato italiano -, per le giuste parole di elogio che Ciampi ha pronunciato a favore dell’amministrazione di questa autonomia, come se non fosse ovvio che ricevendo da trent’anni molto piu’ di quanto si versa allo Stato cio’ non fosse relativamente facile. Soddisfatto il centrodestra – dopo avere sbavato veleno per decenni contro le minoranze e l’autonomia -, per le giuste parole di critica contro l’ossessione etnocentrica dell’autonomia, come se i movimenti interetnici fossero patrimonio culturale e politico loro. Soddisfatto il centrosinistra – dopo avere sbavato per decenni pur di governare con l’SVP -, per le giuste parole di incitamento a costruire laboratori di convivenza, come se non fosse evidente che tutto quello che e’ stato fatto negli ultimi vent’anni e’ stata una scelta dell’SVP e non una conquista dei debolissimi partner italiani che l’SVP ha di volta in volta cooptato in giunta, congelando fortunatamente ma antidemocraticamente all’opposizione il voto della maggioranza degli altoatesini.
Uno degli elementi nuovamente scaturiti nel dibattito politico in seguito alla visita di Ciampi in provincia e’ relativo ai concetti di integrazione e assimilazione, concetti fondamentali da sempre per chi vive in un territorio come questo, concetti che negli ultimi anni, conseguentemente alla mobilita’ territoriale, sono diventati importanti ovunque, e ritengo una vera fortuna per chi vive in questa terra il fatto che queste tematiche, come quelle relative all’identita’, all’autonomia, al federalismo ecc., siano dibattute oramai ovunque, perche’ questo ci consente di affrontare questioni vecchie con strumenti di analisi nuovi.
Premetto che ritengo che l’appartenenza etnica non debba essere ne’ enfatizzata, come fanno i numerosi nazionalisti altoatesini e sudtirolesi, ne’ sottovalutata, come fanno i pochi “Verdi ex Alternativi”, ma debba essere contestualizzata e storicizzata.
Dando per scontato il rifiuto del nazionalismo – il male peggiore che possa caratterizzare un territorio plurilingue, e quindi oramai tutti i territori -, che gerarchizzando diverse culture sostiene la naturale superiorita’ di una/alcune cultura/e sull’altra/altre, ritengo che paradossalmente anche i teorici del multiculturalismo ingenuo, pur affermando la giusta necessita’ di creare le premesse per lo sviluppo di tutte le etnie, compiano spesso l’errore di considerare le etnie o le nazionalita’ dei dati naturali e non, come invece sono, delle potenti ed importantissime costruzioni culturali ottocentesche e novecentesche, dagli esiti statalmente/nazionalmente diversi, pur con dinamiche simili. E’ sbagliato quindi considerare il meticciato un destino futuro dell’umanita’ e le rigide identita’ nazionali il passato ed il presente di essa, cosi’ come e’ profondamente sbagliato considerare le identita’ nazionali frutto di operazioni di politica culturale e le identita’ locali un fenomeno naturale. Il meticciato e’ sempre stata una caratteristica dell’umanita’, che ha avuto caratteristiche quantitative e qualitative sempre diverse, e le identita’ nazionali sono un fenomeno politico e culturale degli ultimi due secoli che ha avuto un successo straordinario e questo induce molti a leggere anche la storia dei secoli precedenti alla luce degli esiti successivi. Occorre quindi storicizzare e superare il nazionalismo, non naturalizzare le etnie.
Pur non essendo un fenomeno naturale, il sentimento nazionale ha avuto un successo ed una forza enorme negli ultimi due secoli, anche tra le persone che non avevano “interessi nazionali” da difendere. Non a caso furono i socialdemocratici dell’Impero plurinazionale austro-ungarico ad affrontare teoricamente le questioni legate al rapporto tra stato e nazionalita’, superando la concezione naturalistica della nazione come comunita’ di destino, di carattere, di luogo e di cultura, ma anche il principio di autodeterminazione dei popoli, visto che gia’ alla fine dell’Ottocento non esistevano in Europa territori omogenei dal punto di vista nazionale e, consapevoli che nei diversi territori dell’Impero le stesse nazionalita’ erano a volte maggioranza/dominante ed a volte minoranza/dominata, auspicavano il principio di autonomia personale oltre che di gruppo e territoriale.
Le culture nazionali non erano e non sono semplicemente prodotti culturali, ma sono diventate lo sfondo “naturale” delle diverse esistenze e delle diverse produzioni culturali e la loro conservazione e valorizzazione, che non ha niente a che vedere con il nazionalismo, e’ sempre stata considerata importante da chi sostiene che le diversita’ siano una ricchezza e lottava cent’anni orsono contro l’imperialismo politico ed ai giorni nostri contro l’imperialismo culturale, tanto piu’ evidente dopo la fine del cosiddetto “comunismo reale” che sembra avere spianato la strada al “pensiero unico”.
Nel mondo sempre piu’ globalizzato insieme all’insicurezza cresce il desiderio di comunita’, soprattutto etniche tra “identici”, ed anche il modello del Melting Pot americano, visto per decenni come superamento anche positivo delle identita’ nazionali e delle loro esasperazioni, sembra ora superato dal modello dell’insalatiera etnica, il territorio che unisce persone con caratteristiche culturali anche molto diverse, purche’ tutti siano consapevoli della storicita’ e relativa ibridazione di ogni identita’ culturale e della possibilita’ e necessita’ di avere una vasta gamma di fattori identitari, molteplici, concentrici ed elastici. Quindi progressivamente cresce la richiesta di rivendicazione del diritto alla differenza, ma anche del diritto all’indifferenza, nella consapevolezza della relativita’ di ogni elemento identitario.
In Alto Adige/Suedtirol negli ultimi cento anni la questione dell’integrazione/assimilazione culturale e’ sempre stata fortemente caratterizzata dagli esiti della “Grande storia”, quella che ha spostato i confini, oltre che dalla storia quotidiana, fatta di movimenti migratori, matrimoni, contatti.
Gia’ alla fine dell’Ottocento la presenza di nuclei di tedeschi nel Trentino e di nuclei di italiani in Alto Adige consentiva ai fanatici nazionalisti di entrambi i fronti di rivendicare l’assoluta tedeschita’ o italianita’ della popolazione, ma anche della flora e della fauna, fino a Borghetto o fino al Brennero, simboli tangibili, “naturali”, delle nazionalita’.
Dopo l’annessione il Commissario generale civile, Credaro, la massima autorita’ dello Stato in regione, proponeva al Ministero degli interni di estendere alle altre regioni italiane il modello delle amministrazioni comunali della regione recentemente annessa, considerandole un esempio da raggiungere, ma contemporaneamente auspicava la rigida applicazione della Legge Corbino nella Bassa atesina, dove vivevano migliaia di trentini immigrati nella seconda meta’ dell’Ottocento, che avevano visto nella progressiva tedeschizzazione un elemento di opportunita’ di elevazione sociale, ed auspicava una “reitalianizzazione” della popolazione.
Nel 1921 l’editore Treves di Milano raccolse alcuni articoli scritti da Giuseppe Antonio Borgese, docente universitario in seguito espatriato durante il fascismo, pubblicati sul “Corriere della Sera”. In uno di questi si legge:
“Molto bene per il mondo latino e pel germanico potra’ nascere da questa convivenza, e l’Italia potra’ trarne altre ispirazioni per la sua opera di mediatrice ai fini di una vera pace tra vincitori e vinti. Che la Venezia Tridentina sia destinata a divenire un’Irlanda o un inferno non e’ probabile. Ci vorrebbe negli italiani la vocazione del carnefice e nei tedeschi la vocazione del martirio. E non pare ci siano ne’ questa ne’ quella. Naturalmente l’Italia dovra’ espiare con una esemplare saggezza amministrativa e con una perfetta contemperanza di autorita’ e liberta’ la dura, quasi tragica necessita’ in cui si trova di annettere poco meno che duecentomila stranieri. I tedeschi di Bolzano e localita’ circonvicine dovranno dal canto loro rinunziare all’ambizione di frapporsi tra Italia e germanesimo perche’ la pace mai non si faccia, spogliare la loro legittima resistenza nazionale dalle futilita’ di un odio artificiale e verboso, sfrondare del troppo e del vano lo sproporzionato sogno di far roteare la storia universale intorno al loro piu’ alto campanile e di promuovere questa simpatica cittadina alla dignita’ di caput mundi.”
Sicuramente i sudtirolesi non hanno avuto alcuna vocazione al martirio, ma lo Stato italiano, non solamente quello fascista, ha provato a fare il carnefice, e ne stiamo ancora pagando le conseguenze, mentre nessuno si e’ mai sognato di presentare il conto per l’adesione dei sudtirolesi al nazismo.
Nel 1948, nella prima riunione del Consiglio regionale, replicando a chi auspicava di trasformare la regione in una piccola Svizzera, modello di integrazione culturale, Magnago tuono’:
“Solo quando tutti i gruppi si sentiranno liberi da timori e paure si avra’ la premessa per quella collaborazione di cui si continua a parlare. Fino a quando un gruppo o l’altro ha paura di soccombere, questa premessa psicologica manca. Quando questa paura non ci sara’ piu’, la collaborazione verra’ da se’.”
Allora il potere era saldamente nelle mani italiane, dello Stato e della Regione, mentre ora e’ saldamente nelle mani tedesche, della Provincia, modello esemplare di efficienza amministrativa, politica ed etnica e di “centralismo decentrato”. I sudtirolesi da vent’anni continuano a fingere di avere paura dello Stato italiano, e della cultura che esso rappresenta – ma l’SVP comincia a costruire l’immagine di un nuovo nemico, il centralismo dell’Europa -, e gli altoatesini da vent’anni hanno realmente paura della Provincia tedesca, e della cultura che essa rappresenta. Finche’ c’e’ la paura dell’assimilazione non potra’ esserci l’integrazione; ma se il potere e’ troppo sbilanciato, se e’ tutto da una parte, qualcuno si sentira’ sempre minacciato. Non e’ lo strumento di per se’ ad essere democratico od autoritario – pensiamo alla proposta/minaccia degli anni Cinquanta di istituire un’universita’ italiana a Bolzano -, ma e’ il progetto politico che lo governa. Come dicono ad Agordo: “Non l’e’ el ma’nec, ma el so’rama’nec”.
Ora anche la destra italiana neoautonomista, coalizione etnica e politica conservatrice, comincia a proporsi come partner affidabile dell’SVP, coalizione etnica e politica conservatrice. Per gli storici locali del XXII secolo – quelli che insegneranno nell’Universita’ di Bolzano e faranno ricerca nell’Accademia Europea, strutture di insegnamento e di ricerca volute dall’SVP solamente quando si sono verificate le condizioni per poterle controllare politicamente, senza lasciare agli altri neppure la possibilita’ di nominare i bidelli – sara’ difficile capire che queste due coalizioni etniche e politiche erano sostanzialmente simili pur odiandosi profondamente, ma sara’ ancora piu’ difficile ricordare che alla fine del XX secolo alcuni leader nazionali/sti italiani si chiamavano Holzmann e Fuestoess, mentre alcuni leader nazionali/sti tedeschi si chiamavano Magnago e Peterlini.
Tutti accomunati dall’ossessionante difesa della purezza dell’etnia, contro ogni odiosa contaminazione o assimilazione.
Bolzano, 20 luglio 2001.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 24 luglio 2001.