Le ragioni della regione 1
Aeroporto di Mosca. Pochi minuti prima dell’imbarco per un volo internazionale un distinto quarantenne viene fermato dalla polizia. L’uomo che ha fatto il viaggio con lui, seduto nella sala d’aspetto, si copre il volto con il giornale e, dapprima lemme lemme, poi sempre piu’ velocemente, si avvia all’imbarco e tira un sospiro di sollievo. Al quarantenne fermato viene fatta aprire la valigetta 24 ore, piena zeppa di dollari. Sembra la scena iniziale di “Fuga di mezzanotte” (anche se li’ si trattava di droga) o una delle mille scene dei film di 007. E invece no, e’ un’altra scena della crisi politica della Regione. Se fosse della serie di 007 si intitolerebbe “Si vive solo due volte”.
Pur con l’opposizione dei sudtirolesi, De Gasperi riusci’ ad allargare il quadro di riferimento dell’autonomia prevista dall’Accordo di Parigi all’intera regione, offrendo l’autonomia anche al Trentino e ponendosi come sentinella nei confronti dei sudtirolesi e difensore degli equilibri etnici della regione, complessivamente favorevoli anche agli altoatesini di lingua italiana.
Subìto dai sudtirolesi, che avrebbero voluto l’autodeterminazione, e non voluto dagli altoatesini, che politicamente si sentivano tutelati dallo Stato, il primo statuto venne gestito all’epoca di Odorizzi – che fu anche l’epoca della Guerra fredda e dell’estromissione delle sinistre dalle responsabilita’ di governo – con una logica centralistica/regionale/trentina e quindi con i sudtirolesi come gruppo minoritario, che oggettivamente rischiava l’assimilazione, senza la piena applicazione dell’articolo 14 che prevedeva l’esercizio dell’autonomia da parte della Regione anche attraverso deleghe alle due Province.
Dopo la crisi politica del primo statuto, il Los von Trient ed il terrorismo, con l’emanazione del secondo statuto la Regione e’ stata progressivamente svuotata e le competenze sono state trasferite alle due Province. I trentini hanno fatto questa operazione nei confronti delle minoranze nazionali residenti in Alto Adige con la stessa logica con la quale posso regalare biancheria intima alle mie amanti, facendo quindi un regalo che sicuramente mi viene restituito, ulteriormente valorizzato. Per venti anni dopo l’emanazione del secondo statuto le minoranze nazionali presenti nel Trentino sono state poco riconosciute, ma non tutelate, ed il progressivo riconoscimento e la tutela sono cresciute man mano che nell’opinione pubblica italiana crescevano le perplessita’ sulla invidiabile realta’ trentina, dove ci sono i soldi e le competenze dell’Alto Adige senza i relativi problemi etnici.
Ne’ il primo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie provinciali e di fatto non ha concesso il pieno autogoverno delle minoranze nazionali, ne’ il secondo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie comunali e non ha concesso la piena e paritaria compartecipazione degli altoatesini alla gestione dell’autonomia provinciale dell’Alto Adige, hanno creato i presupposti per quel sentimento di solidarieta’, senso civico di appartenenza e lealismo istituzionale che dovrebbero costituire i presupposti per un pieno utilizzo, su un piano di pari dignita’, delle potenzialita’ dell’autonomia.
Negli ultimi mesi la farsa della Regione ha assunto toni grotteschi, dimostrando ancora una volta la crisi della politica, da parte dei trentini, e la politica della crisi, da parte dei sudtirolesi, mentre gli altoatesini, come sempre, stanno a guardare, cosi’ come hanno lasciato che altri gestissero il primo ed il secondo statuto, via via fino alle candidature delle ultime elezioni politiche, dove i candidati del centrosinistra in regione li sceglievano i trentini ed i sudtirolesi. Del resto la scelta dell’SVP di mettere due personaggi per certi aspetti equivoci, ma certamente fanatici nazionalisti, come Atz e Pahl in Regione equivarrebbe all’ipotesi di mettere un pedofilo condannato ai servizi sociali ad espiare la propria condanna in un collegio di minorenni o, pensando all’attuale realta’ politica trentina, in un reparto di psichiatria infantile.
Il geografo Lucio Gambi, intervenendo negli ultimi anni nel dibattito conseguente al successo dei movimenti etnofederalisti, ha spesso messo in evidenza la differenza tra il regionalismo – il movimento proveniente dalla societa’ civile di rivendicazione di maggiori competenze per gli enti territoriali piu’ piccoli e piu’ vicini alla societa’, sulla base del principio di sussidiarieta’ -, e la regionalizzazione – l’operazione statale verticistica di definizione di ambiti territoriali per esigenze censuarie ed amministrative, operate a partire dai romani fino al secolo scorso -.
La fine degli stati-nazione di cui parla Ohmae, cosi’ indispensabili nell’Ottocento per la costruzione di mercati nazionali di merci e manodopera, con le degenerazioni che ne sono derivate, e’ evidente, non fosse altro per i costi ed i tempi di queste strutture elefantiache che non reggono piu’ i tempi ed i costi del mercato globale. Ma l’alternativa non deve essere necessariamente la costruzione degli stati-regione, tanto meno quelli motivati etnicamente. Cosi’ come non ha piu’ senso parlare del prodotto nazionale se questo viene progettato negli Stati Uniti, realizzato in Cina e diffuso nel mondo intero con delle strategie di mercato elaborate in Europa, non ha molto senso parlare di regioni motivate etnicamente o storicamente, come e’ avvenuto negli ultimi anni, conseguentemente allo sfascio dello Stato italiano, alla miopia dei trentini, all’arroganza dei sudtirolesi ed alla dabbenaggine degli altoatesini.
Uno studio trentino ha individuato la presenza di 7 gruppi etnici nella Regione Trentino Alto Adige/Suedtirol: dividendoli tra le due province ha individuato sudtirolesi, italiani e ladini in Alto Adige; italiani, ladini, mocheni e cimbri nel Trentino. Sarebbe interessante vedere come risulterebbe questa analisi a livello regionale, senza una suddivisione provinciale: come considerare gli altoatesini ed i trentini? Tutti italiani allo stesso modo? E la proporzionale tra i dipendenti della Regione come viene applicata? Quante sono le quote dei sette presunti gruppi etnici e, tra gli italiani, quanti sono gli altoatesini e quanti sono i trentini? E’ vero che per i sudtirolesi che lavorano in Regione a Trento e’ prevista una indennita’ mensile di circa 400.000 lire, mentre gli altoatesini (quanti avete detto che sono?) che lavorano in Regione a Trento non hanno questa indennita’? Perche’ a promuovere l’immagine della Regione all’estero ci vanno i trentini? Forse perche’ per i sudtirolesi sarebbe difficile piangere il morto in Italia ed in Austria ed osannare l’autonomia all’estero? Forse perche’ gli altoatesini potrebbero ricordare che negli ultimi 25 anni, quelli della Vollautonomie, 25 mila italiani si sono trasferiti nelle altre regioni d’Italia o nel gruppo etnico localmente dominante? Quali sono le motivazioni di queste scelte? Perche’ costruire nuove identita’ e realta’, anche istituzionali, distruggendone altre? E’ possibile costruire nuovi ponti senza motivarli etnicamente e senza distruggerne altri? L’Euroregione tirolese e’ forse politicamente meno inventata e motivata delle Tre Venezie di cui parlava la retorica fascista? Le recentissime polemiche sulla denominazione della Regione non sono un segnale ben piu’ importante delle auto rubate o di un funzionario un po’ tonto?
Ci potrebbero essere buone ragioni per la Regione se la storia del secolo scorso non pesasse sulle memorie collettive per quello che e’ successo e per quello che si vuole ricordare. Le stesse ragioni, e anche qualcuna in piu’, rispetto alle ragioni che possono auspicare una collaborazione transfrontaliera tra le regioni di confine, se questa serve per favorire la collaborazione tra popolazioni diverse, nella costruzione di una Europa comune, e non per favorire quel populismo etnico cosi’ diffuso nell’arco alpino. Le stesse ragioni che ci possono mettere immediatamente in contatto con situazioni che avvengono dall’altra parte del globo con conseguenze planetarie, come ci ha insegnato l’11 settembre, dimostrandoci che l’accelerazione della storia ed il restringimento del sistema-mondo sono tra le caratteristiche piu’ evidenti dell’eta’ contemporanea. Ma la Regione non dovrebbe essere quel cimitero degli elefanti dismessi e/o improponibili della politica che invece purtroppo e’, e non e’ detto che la proposta di affidare la leadership della Regione ai due presidenti delle Province risolverebbe il problema, anche se molti trentini invidiano il decisionismo sudtirolese. Questo decisionismo e’ proporzionale alla mancanza di pluralismo in una realta’ dove la minoranza nazionale/maggioranza provinciale vota per il 90% un partito etnico che tratta gli altri gruppi etnici e politici considerandoli solamente in termini numerici. Non e’ un obiettivo da raggiungere, ma un’anomalia vista da chi apprezza il pluralismo e la democrazia.
Certamente se la valigetta del funzionario impacchettato a Mosca fosse stata una valigia diplomatica i controlli non sarebbero stati possibili, ma fortunatamente la Regione non e’, e spero non sara’ mai, uno Stato-regione. Per ora, tornando alla serie dei film di 007, se ci fosse ancora la coalizione SVP-centro-PATT, con Tretter potrebbe essere “Goldfinger”, ma visto che c’e’ la coalizione SVP-centro-sinistra, con Durnwalder a Dellai nei confronti della Cogo potrebbe essere “Vivi e lascia morire”. Per la Cogo dare un senso all’attuale Regione e’ sicuramente “Missione impossibile”. Visto il gioco delle parti politiche, per cui in Regione il centrosinistra e’ alleato con l’SVP, modello di etnofederalismo per quei movimenti di destra che il centrosinistra combatte nelle altre regioni italiane, si potrebbe pensare a “Mai dire mai”. Pensando alla politica affidata dall’SVP ai suoi esponenti nella giunta regionale potrebbe essere “Licenza di uccidere”. Ma vedendo come vanno le cose mi viene in mente “I soliti ignoti”, quelli della “banda del buco” che, pensando di fare il colpo del secolo ma avendo sbagliato orientamento, invece di svaligiare la banca dovettero accontentarsi di mangiare pasta e ceci. Ed uno di loro, alla fine, decise di andare a lavorare.
Bolzano, 15 dicembre 2001.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 16 dicembre 2001.