Lo zen e l’arte della manutenzione dell’autonomia 1
Qual’è la differenza tra chi viaggia in motocicletta sapendo perfettamente come funziona la moto e chi non lo sa? In che giusta misura ci si deve occupare della manutenzione della motocicletta, si chiedeva trent’anni or sono Robert Pirsig nel libro-cult dei motociclisti intellettuali intitolato Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, ricostruendo il rapporto d’amicizia e d’avventura tra due persone che si rapportavano con la moto e con la vita in maniera assolutamente opposta, l’uno attento solamente alle sue prestazioni, l’altro solamente a cercare di capire i meccanismi del suo funzionamento.
Anch’io da oltre vent’anni sono un motociclista, attento piu’ all’affidabilita’, alla semplicita’ ed alla possibilita’, speriamo sempre potenziale, di ripararla con le mie mani, che alle prestazioni. L’altro giorno sono andato a farla revisionare. Fino allo scorso anno le revisioni dei motoveicoli, di competenza statale, erano ferme alle moto immatricolate prima del 1963. Improvvisamente l’Italia ha dovuto recepire una normativa europea, che impone di revisionare le moto come le automobili, ogni due anni. Casualmente, recepita questa norma europea, lo Stato l’ha trasferita alla Provincia. Sono andato in un’officina privata convenzionata ed ho fatto verificare l’impianto frenante, l’impianto elettrico, le emissioni di gas ed il rumore, e non ho superato la revisione perche’ la moto era troppo rumorosa. Ho acquistato due tubi di scarico nuovi, li ho sostituiti da solo (anche perche’, a parte nel delicato ed affascinante settore dell’erotismo, preferisco sempre fare tutto da solo), e sono tornato in officina, dove, riverificati i parametri, mi hanno dato il bollino adesivo del collaudo. Quando si parla di revisione tra i motociclisti ci si riferisce a questo: verificare periodicamente il mezzo, vedere quello che funziona ancora e quello che si deve sostituire.
Quando si parla di revisionismo storico, negli ultimi anni, spesso si confonde la necessita’ per lo storico di revisionare, rivedere continuamente il proprio sapere sulla base delle nuove conoscenze, dei nuovi documenti e delle nuove ricostruzioni, con il negazionismo, che e’ l’impostazione di chi nega l’esistenza di un fenomeno storico, come le camere a gas, ad esempio.
Nella politica ortodossa degli ex stalinisti ora neoliberisti il revisionismo era considerata una pratica infame, perche’ intaccava i dogmi del partito-chiesa, come se la necessita’ di adeguare continuamente la teoria politica con la pratica sociale fosse un grave errore invece che una necessita’ per chi vuole intervenire sulla realta’.
Nella autonomia provinciale, che in questi giorni compie 30 anni, si dovrebbe fermare o almeno rallentare un attimo quell’enorme slot machine che e’ la giunta provinciale e quel gioco delle parti che e’ la politica locale, dove il centrodestra critica continuamente la gestione dell’autonomia da parte dell’SVP, che viene considerata un modello dal centrodestra delle altre regioni, senza vedere le potenzialita’ dell’autonomia anche per gli altoatesini, rendendo assolutamente dannosa la politica del centrodestra anche per gli altoatesini che invece vorrebbe difendere. Dall’altra parte il centrosinistra che osanna continuamente la gestione dell’autonomia da parte dell’SVP, che pratica per molti aspetti una politica simile a quella attuata dai partiti etnofederalisti giustamente avversati dal centrosinistra nelle altre regioni, senza vedere i limiti di questa visione sempre etnocentrica e spesso autoritaria e revanchista, rendendo assolutamente inutile la politica del centrosinistra anche per quella gestione territoriale dell’autonomia che dovrebbe sostituire la gestione d’emergenza che negli ultimi 30 anni ha riequilibrato le sorti delle popolazioni locali. Rallentata la macchina in corsa si dovrebbe cercare di vedere quali sono stati i cambiamenti nel mondo, in Europa, in Italia, nella regione, nella provincia e nei comuni dell’Alto Adige per vedere se lo Stato coincide con la nazione, la Regione con la regione, la Provincia con la provincia, i Comuni con le comunita’. Accertati ed accettati i cambiamenti sostanziali e formali delle realta’ sociali ed istituzionali si dovrebbe cercare di vedere se alcune norme elaborate negli anni Sessanta, quando i sudtirolesi rischiavano realmente l’assimilazione dopo decenni di politica statale prima fascista e poi democristiana, possono ancora essere compatibili con le nuove realta’, di fatto e di diritto, locali, nazionali ed internazionali.
E’ compatibile il censimento nominativo con la privacy e con le “nuove famiglie”? Il diritto di tutela delle minoranze deve andare necessariamente a scapito dei diritti individuali? La richiesta delle scuole separate e’ incompatibile con la richiesta di un sistema scolastico che, rispettando l’autonomia, consenta a chi lo vuole di provare un sistema scolastico plurilingue? L’autonomia culturale, che non deve necessariamente essere una segregazione o un’autosegregazione, dei gruppi localmente minoritari deve avere necessariamente un placet del potere locale/provinciale? I riferimenti simbolici italiani, anche se creati in epoca fascista, devono necessariamente scomparire solo per questo motivo? La riforma federale deve procedere “a cascata”, anche verso le istituzioni comunali? Quali spazi di cittadinanza devono avere le nuove minoranze che oramai da 20 anni caratterizzano la realta’ provinciale, soprattutto quella dei grossi centri? E’ forse anacronistica la norma che prevede 4 anni di residenza per esercitare il diritto elettorale? La proporzionale, che giustamente ha garantito il riequilibrio nella gestione delle risorse a livello locale quando il potere era gestito dallo Stato, ha ancora un senso nell’epoca della globalizzazione o forse serve solamente per garantire gli altoatesini dalla gestione delle risorse ora che sono gestite quasi esclusivamente dalla Provincia? Il patentino rilasciato dall’Autonome Provinz Bozen puo’ essere l’unico attestato di riconoscimento della conoscenza delle lingue? La nomina politica dei giudici del TAR garantisce l’indipendenza della magistratura amministrativa? L’enorme sviluppo, l’etnicizzazione e la politicizzazione dell’amministrazione provinciale e’ compatibile con la separazione tra l’indirizzo politico ed il ruolo amministrativo della politica moderna? L’acquisizione di nuove competenze e funzioni da parte dell’Autonome Provinz Bozen non e’ giusto l’opposto della privatizzazione e dell’esternalizzazione delle funzioni che caratterizza le amministrazioni pubbliche moderne? La rappresentanza etnica di giunta statutariamente garantita agli altoatesini e’ realmente garantita negli ultimi vent’anni, da quando il partito di opposizione italiana raccoglie piu’ voti di tutti e tre i partiti italiani presenti in giunta provinciale, che sono quindi una rappresentanza poco rappresentativa? E’ giusto che sia l’SVP a scegliere anche l’assessore ladino? Le due circoscrizioni elettorali create per garantire l’elezione di un deputato ed un senatore italiano garantiscono ancora questa funzione, dopo l’esperienza delle ultime elezioni politiche nelle quali un accordo di doppia desistenza SVP/DC ha negato agli altoatesini di eleggere i politici maggiormente votati? E’ ancora attuale la famosa affermazione che Magnago ribadiva ogniqualvolta qualcuno prospettava una fine ingloriosa degli altoatesini, conseguentemente al passaggio di potere nelle mani provinciali/sudtirolesi, secondo la quale un gruppo che ha alle spalle uno Stato di 60 milioni di abitanti non deve avere paura della propria sorte? Esistono ancora competenze significative dello Stato? Cosa hanno cercato di ottenere in Alto Adige/Suedtirol le politiche governative del centrosinistra e del centrodestra, oltre al consenso dell’SVP? Quali sono state le sorti delle minoranze locali, che, come quelle nazionali, sempre si accompagnano alle sorti della democrazia? E mi interrompo, perche’ non vorrei mettere a disagio chi dice che il disagio non esiste. Il disagio dell’autonomia democratica, partecipata e territoriale, ovviamente.
I contratti sociali dell’eta’ moderna, stipulati tra e’lite poco rappresentative ma molto potenti, potevano durare anche secoli, perche’ la velocita’ di cambiamento sociale e la partecipazione erano ridotte.
Le rapide, profonde e continue trasformazioni sociali necessitano periodiche revisioni, un po’ come la mia vecchia motocicletta. Non si tratta di buttare tutto al macero ne’ di farne un feticcio, ma di vedere cosa aveva senso trent’anni fa e cosa ha ancora senso all’inizio del terzo millennio, dove, a seconda degli ambiti di riferimento, tutti possono sentirsi minoranza e svilupparne la sindrome.
Buon compleanno autono/mia. Ora che hai 30 anni cerca di diventare autono/nostra.
Bolzano, 15 gennaio 2002. Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 13 gennaio 2002.