La storia “sempre nuova” dei giornali 1
Giovanni De Luna, storico contemporaneista molto attento alla storia dei mass media ed alla storia nei mass media, in un articolo pubblicato su “Passato & presente” nel 1998, intitolato “La storia “sempre nuova” dei quotidiani e la costruzione del senso comune”, ha analizzato le cause e le conseguenze della tendenza a trasformare l’indagine storiografica in argomenti da scoop giornalistico, a volte anche riproponendo tesi gia’ note come autentiche novita’. Oltre alla ricerca dello scoop, uno dei motivi e’ la conoscenza storica non sempre adeguata da parte di chi forma l’opinione pubblica e del suo mercato, non sempre in grado di valutare l’attendibilita’ della notizia ne’, tanto meno, l’eventuale caratteristica di reale novita’. Il tutto nella logica di una marmellata massmediatica che somiglia sempre piu’ ad una chat line e genera una conseguente perdita di senso comunicativo, non solo in ambito storiografico.
A livello locale un quotidiano di lingua italiana nel 1996 pubblico’ in prima pagina la notizia-bomba della “scoperta” dei nomi degli aguzzini del Lager di Via Resia. Alle nove mi telefono’ un giornalista dell'”Alto Adige” mortificato dal mancato scoop, ma lo rincuorai dicendogli che quei nomi erano gia’ stati pubblicati dal suo giornale nel 1945. Lo stesso teatrino si e’ ripetuto l’anno seguente con il nome della “Tigre” del Lager di Via Resia.
Con gli articoli pubblicati dal “Corriere della Sera” del 14 e 15 agosto si e’ ripetuta una situazione simile. In due articoli a piena pagina riguardanti la prossima pubblicazione dell’edizione completa in lingua inglese di un libro dettato da Hitler nel 1928 e gia’ parzialmente pubblicato nel 1961 in Germania e negli Stati Uniti si cita l’opinione del curatore che sostiene che questo scritto e’ piu’ importante del “Mein Kampf”, proprio perche’ non finalizzato alla pubblicazione, e quindi piu’ sincero. Nell’articolo del 14 agosto, dal titolo a tutta pagina “Sud Tirolo agli italiani. Firmato: Hitler”, si pubblicano come se fossero notizie storiograficamente sconvolgenti le tesi di Hitler riguardanti la questione altoatesina della fine degli anni Venti contenute in questa pubblicazione.
Oggettivamente le frasi, parzialmente riprodotte sull'”Alto Adige” del 15 agosto, colpiscono per la loro durezza, quando ad esempio si sostiene che nella regione ci sono due terzi di italiani (400.000 persone) ed un terzo di tedeschi (200.000 persone) e che una eventuale riannessione avrebbe riproposto, in termini invertiti, una nuova “questione degli italiani” annessi al Reich. Il ragionamento ricorda le giuste osservazioni dei “Salornisti” che sostenevano, alla fine della prima guerra mondiale, la non opportunita’ di rivendicare il confine del Brennero, perche’ l’Italia, che aveva rivendicato fin dal Risorgimento Trento e Trieste per motivi nazionali, non poteva ripudiare questi stessi principi per la popolazione di nazionalita’ tedesca abitante l’attuale provincia di Bolzano. Invece i “ragionamenti” dei nazionalisti erano e sono spesso simili ed e’ un vero peccato che siano espressi in lingue diverse, perche’ altrimenti scoppierebbe la pace universale. Questi “ragionamenti” utilizzano spregiudicatamente la storia, la geografia, la demografia ed anche la religione se necessario per motivare i loro specifici interessi. Il confine, ad esempio, per i nazionalisti tirolesi prima del 1918 non poteva che essere a Borghetto, ma dopo l’annessione si sarebbero anche accontentati di Salorno, con la sua “stretta, chiaro segnale voluto da Dio e dalla Natura”, caratteristica simile allo spartiacque del Brennero che fece la fortuna delle sciagurate tesi di Tolomei. Gli ambiti della regione, definiti dai confini, definiscono la quantita’ e la qualita’ delle popolazioni residenti, con le ovvie conseguenze per quanto riguarda i concetti di maggioranza e minoranza e di rapporti di potere, allora come negli anni Novanta, ai tempi della discussione sui confini dell’Euregio, con o senza il Trentino. E gli esempi potrebbero continuare.
Ma le tesi di Hitler sull’Alto Adige non sono assolutamente delle novita’. Per farmi perdonare dalla categoria dei giornalisti citero’ un buon giornalista, Piero Agostini, che nel suo libro “Alto Adige, la convivenza rinviata” ha raccolto alcune di queste considerazioni, contestualizzandole giustamente nel tempo e ricordando che negli anni Venti Hitler vedeva nel fascismo gia’ al potere un esempio da imitare ed un potenziale alleato. Tesi simili si trovano nel saggio “Die Suedtiroler Frage und das deutsche Buendnisproblem”, scritto nei primi anni Venti e ripubblicato nel “Mein Kampf” nel 1926, ribadite in un discorso svolto poco prima dell’avvento al potere, dove disse:
“La faro’ finita con lo sciocco sentimentalismo dei sudtirolesi. Non intendo lasciarmi sviare dalla linea fondamentale della nostra politica per un’alleanza con l’Italia.”
Nel 1938, anche per rassicurare gli alleati italiani preoccupati per la recente Anschluss dell’Austria, nel corso della visita ufficiale a Roma affermo’:
“E’ mia incrollabile volonta’ ed e’ anche mio testamento politico al popolo tedesco che consideri intangibile per sempre la frontiera delle Alpi eretta fra noi dalla natura. Sono certo che per Roma e la Germania ne risultera’ un avvenire glorioso e prospero,”
e Tolomei sulla sua rivista ricordo’ che le stesse tesi gli erano state comunicate personalmente da Hitler in un incontro svolto a Monaco nel 1928.
Sicuramente l’accordo relativo alle Opzioni del 1939 cerco’ di risolvere, nello stile tipico delle dittature, la questione che creava tensioni tra le due dittature cosi’ simili, anche nel loro nazionalismo. Chi voleva riunificare tutti i tedeschi d’Europa e chi voleva difendere i “sacri confini” delle Alpi non poteva tollerare che questa popolazione di cittadinanza italiana dal 1919, ma di nazionalita’ tedesca, abitasse a sud dello spartiacque alpino.
Ma la guerra interruppe l’esodo della maggior parte dei sudtirolesi che aveva optato per la Germania e nel 1943 Hitler dimostro’ che le sue assicurazioni relative al rispetto della frontiera del Brennero non erano poi cosi’ assolute. Anche i politici tedeschi, a volte, possono essere poco affidabili.
Abituati a nostri politici d’oggi che cambiano progetti ed alleanze politiche con la stessa frequenza e nonchalance con la quale si cambiano i calzini, siamo portati ad immaginare i politici di un tempo, soprattutto i dittatori, come delle persone logiche, coerenti e conseguenti nelle loro lucide follie, ma questo dipende solamente dalle semplificazioni rese necessarie dai limitati tempi e spazi della divulgazione. Ma la storia vera con la sua complessita’ ci insegna che anche i dittatori fortunatamente erano pur sempre dei politici, anche se non sempre i politici, fortunatamente, riescono a diventare dittatori.
Bolzano, 15 agosto 2003.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 17 agosto 2003.