SVP: tattica & strategia1
Nelle ultime settimane la stampa locale ha dato molta risonanza alla scelta dell’SVP di candidare una “mistilingue”, dichiaratasi italiana al censimento, per le prossime elezioni comunali, affermando che questo fatto, insieme alla scelta di non indicare un proprio candidato sindaco, sarebbero delle assolute novita’, dei fatti degni di passare alla storia, significativi di una apertura del partito agli italiani ed ai “mistilingue”. Visto che il coro degli opinionisti entusiasti e’ cosi’ ricco – in tutti i sensi – e affollato, vorrei provare ad esprimere due considerazioni fuori dal coro.
Innanzitutto la presenza di persone “mistilingui” e di lingua italiana nelle liste SVP non e’ assolutamente una novita’.
Non mi riferisco solamente al fatto che il gruppo consiliare bolzanino del partito nell’ultima legislatura era formato tra l’altro da Buratti, Franchi, Rizzolli, Maffei, che il sindaco di Egna si chiama Vedovelli, quello di Caldaro Battisti, che il vicesindaco di Laives si chiama Forti, che quello di Bronzolo che ha chiesto ed ottenuto recentemente la modifica dello statuto comunale perche’ il sindaco Bertinazzo si e’ dichiarato tedesco ma non milita nell’SVP si chiama D’Amico, ecc. a dimostrazione della concezione dell’integrazione etnica che lo caratterizza. Potrei fornire decine di esempi, soprattutto ma non esclusivamente nella Bassa atesina, di “mistilingue” che si dichiarano tedeschi e votano e fanno politica nell’SVP, e sicuramente i Verdi radical-chic e la sinistra patetica fintamente interetnica che sta nelle giunte cooptata dall’SVP in quanto rappresentante (di minoranza) degli italiani non danno molta importanza alla cosa ed anch’io, se il fenomeno fosse “bidirezionale”, non lo considererei molto grave. Ma se quasi tutti i “mistilingue” si dichiarano tedeschi ed anche molti italiani lo fanno, mentre non succede quasi mai il contrario – e quando accade “fanno notizia”, come e’ accaduto in questi giorni -, significa che i gruppi linguistici in Alto Adige non hanno ne’ pari dignita’ (dal punto di vista sociale) ne’ pari opportunita’ (dal punto di vista del mercato del lavoro e delle risorse). E questo e’ un problema politico che non si puo’ ignorare con vuoti e retorici slogan inneggianti alla convivenza ed alla societa’ postetnica.
Mi riferisco sopra tutto alle prime consultazioni comunali svolte dopo il fascismo a Bolzano l’11 luglio 1948. In quell’anno venne emanato lo Statuto di autonomia regionale il 31 gennaio, si svolsero le elezioni politiche del 18 aprile, le comunali dell’11 luglio e le regionali del 28 novembre. Dopo la firma dell’Accordo Degasperi-Gruber e prima dell’emanazione dello Statuto del 1948 si svolsero lunghe trattative politiche tra i rappresentanti dello Stato italiano, della popolazione sudtirolese e della popolazione trentina, al cui interno si era formato l’ASAR, Associazione Studi Autonomistici Regionali, associazione politicamente trasversale con oltre 70.000 aderenti che raccoglieva tutti i trentini favorevoli all’autonomia, la maggior parte della popolazione. In Alto Adige non era cosi’. Dopo la fine del fascismo e del nazismo gli altoatesini, a differenza degli italiani delle altre regioni d’Italia, non ebbero la possibilita’ di ricollegarsi idealmente, politicamente ed organizzativamente, alle situazioni precedenti all’avvento del fascismo, per il semplice motivo che prima di allora la presenza italiana in questa provincia era numericamente irrisoria e non organizzata. Dopo il 1945 gli altoatesini ebbero quindi con i partiti nazionali un rapporto di “franchising”, quel contratto commerciale sviluppatosi negli ultimi decenni in base al quale una ditta affermata concede ad un imprenditore locale il diritto di avvalersi del proprio marchio piu’ o meno prestigioso, purche’ questo si impegni a vendere in esclusiva i prodotti dell’azienda in una sede adeguata.
In Alto Adige molti italiani erano d’origine trentina, caratterizzati da una buona integrazione dovuta ad una maggiore conoscenza del territorio, della sua storia, della sua lingua e da una mentalita’ simile a quella sudtirolese. Gli italiani di origine trentina all’interno della Democrazia Cristiana fondarono l’associazione Famiglia trentina, che sponsorizzo’ il primo sindaco di Bolzano e personaggi politicamente molto importanti. Piu’ tardi gli italiani delle vecchie province, i regnicoli, con l’esclusione dei trentini, fondarono la Famiglia italiana. Il fondatore di questa Famiglia italiana fu il toscano Luigi Vilucchi, che era stato il segretario della Democrazia Cristiana. La differenza d’origine si trasformo’ immediatamente in un diverso rapporto con l’autonomia, ed in seguito caratterizzo’ la destra e la sinistra all’interno del partito. Per questo motivo molti trentini autonomisti, non trovando spazi adeguati nei partiti italiani affollati di regnicoli spesso antiautonomisti o semplicemente non autonomisti, candidarono nell’SVP alle elezioni comunali di Bolzano, non dovendo dichiararsi tedeschi. Il “Dolomiten” dell’8 giugno 1948, presentando una lista piena di nomi cosi’ imbarazzanti per un partito etnico, titolo’ “Tirol den Tirolern! Aber Bozen den Regnicoli” ricordando il termine usato sprezzantemente dai trentini per definire gli italiani provenienti dalle “vecchie province”, che aveva fatto imbestialire il socialista Mussolini nel suo breve ma intenso soggiorno trentino. L'”Alto Adige” del 15 luglio, che nella prima pagina riportava la notizia dello sciopero generale indetto in seguito all’attentato a Togliatti, riportava i risultati dei candidati trentini/SVP, facendo notare con estrema soddisfazione che dei 13 seggi nemmeno uno era andato ai trentini ospiti della lista, che anzi erano stati i piu’ depennati: “Scorrendo la lista dell’Edelweiss per quello che concerne le votazioni si riscontra che il maggior numero di cancellazioni lo hanno fatto registrare i signori Concer (1.523), Dona’ (1.462), De Gasperi (1.347), Alessandrini (1.309), Tomasi (1.236). Tale constatazione non e’ certo priva di significato.” E altri articoli sull’opportunita’ di eleggere un sindaco italiano di origine trentina o regnicolo si trovano anche il 24 luglio, dove, nella rubrica dello stato civile, leggiamo la nascita di Giovanni Benussi, di Ruggero e di Angela De Dominicis. Ma penso sia solamente una coincidenza, e non un chiaro segno del destino. Quindi anche la presenza di persone di lingua italiana nelle liste SVP non e’ assolutamente una novita’.
Ma anche la scelta SVP di non indicare un proprio candidato sindaco non e’ assolutamente una novita’ significativa. Dall’ultima riforma elettorale i partiti debbono indicare un proprio candidato sindaco, quindi solamente dalle elezioni comunali del 1995. Per tre volte l’ha fatto, nel 1995, nel 2000 e nel 2005 in maggio, ma ora si e’ resa conto che affinche’ il proprio comodo partner passivo possa farcela e’ tatticamente opportuno non presentarsi. C’e’ gia’ un precedente politico significativo: nel 2001 l’SVP non ha presentato un candidato al collegio della camera di Bolzano-Laives, facendo convogliare i propri voti sul candidato dell’Ulivo Bressa, mentre l’Ulivo ha fatto altrettanto per quanto riguarda il senato con Peterlini. All’apertura delle urne, dopo una campagna elettorale basata sulla retorica buonista della convivenza – non meno fastidiosa della retorica nazionalista -, il primo comunicato ufficiale del partito ha ricordato che l’SVP non era da considerarsi un partito dell’Ulivo, con il quale c’era stato solamente un accordo di doppia desistenza. Ed anche l’altro giorno alla Camera, in occasione della riforma elettorale, il partito ha tatticamente contrattato con i leghisti alcune clausole che garantissero la sua rappresentanza, e si e’ ben guardato dal votare contro la legge cosi’ osteggiata dal Centrosinistra. Quindi le scelte tattiche dell’ SVP non sono assolutamente una novita’ e non indicano appartenenze a schieramenti.
L’SVP e’ un partito che ha avuto sicuramente molti meriti per la popolazione che rappresenta statutariamente, le minoranze nazionali di lingua tedesca e ladina, secondo molti esperti le meglio tutelate al mondo. Sicuramente con l’autonomia sono stati decentrati a livello provinciale competenze e finanziamenti notevoli, bene amministrati, e la qualita’ della vita e’ eccellente. Ma scambiare questa politica con una politica interetnica e democratica, visto il centralismo provinciale che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni, negando l’esistenza dei “mistilingue”, l’apertura delle scuole bilingui ed anche per anni le semplici sperimentazioni, l’autonomia dei comuni e visto il boicottaggio ventennale nei confronti della citta’ capoluogo, e’ un errore grossolano che non farebbe nemmeno Cappuccetto Rosso. A meno che non le si offrano ricche e comode prebende politiche. L’SVP ha etnicizzato la politica applicando lo statuto con una logica revanchista per decenni, assolutizzando il dato etnico, applicando la proporzionale e la logica della dichiarazione etnica anche oltre i limiti che lo strumento aveva originariamente, puntando strategicamente al controllo politico su base etnica del territorio e all’assimilazione dei gruppi minoritari nei territori dove e’ maggioranza ed alla creazione di societa’ rigidamente separate dove e’ minoranza, arrivando a scegliere anche la classe politica dirigente dei gruppi localmente minoritari. Un partito statutariamente etnico puo’ anche amministrare bene e fare propaganda in due lingue, e, se necessario, applicare tatticamente la doppia desistenza alle politiche e non presentare un candidato sindaco alle elezioni dell’unico comune dove rischia di andare all’opposizione, ma un partito interetnico e’ un’altra cosa. Ancora da inventare.
Bolzano, 17 ottobre 2005.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 19 ottobre 2005.