Benedikter, l’uomo del secolo scorso1
Con la scomparsa di Alfons Benedikter, dopo quella recente di Silvius Magnago, passano definitivamente alla storia due personaggi che hanno fortemente caratterizzato la scena politica sudtirolese del secolo scorso, quello che nel mondo si definisce “il breve Novecento, il secolo scorso”, qui evidentemente non ancora concluso.
Entrambi nati durante la Grande guerra, entrambi giovani negli anni Venti e Trenta, hanno vissuto l’italianizzazione e la fascistizzazione del territorio, ed hanno vissuto due vite fortemente intrecciate dagli aspetti anche paradossali. Figlio di un magistrato trentino il primo, ha sempre negato l’esistenza dei mistilingue e si e’ sempre battuto per la causa dei sudtirolesi, senza fare distinzione tra il popolo italiano e lo Stato italiano, fosse quello fascista o quello democratico. Il secondo era figlio di uno dei non pochi sudtirolesi che, per diversi motivi, si erano schierati col fascismo, Josef, ufficiale postale a Silandro iscritto al Fascio dal 1932. Iscritto lo stesso Alfons ai gruppi giovanili fascisti dal 1936, laureato in legge a Napoli, opta, come tutta la famiglia, per l’Italia, ma successivamente entra in crisi di coscienza, comunicata al padre con diverse lettere tuttora conservate all’Archivio Centrale dello Stato di Roma tra la “corrispondenza revisionata”, intercettata dalla polizia fascista, tradotta e schedata, mentre era soldato dell’Esercito italiano: “Sono convinto che Germania ed Italia, questi due popoli giovani nel centro dell’Europa, uniti in combattimento e nella vittoria daranno nuovo ordine non soltanto all’Europa, ma bensi’ a tutto il mondo. Cosa che io non posso accettare e’ di rinunciare all’idea della Germania: io preferirei combattere e morire per la grandezza della Germania, che per quella dell’Imperatore Romano”, scriveva il 10 ottobre 1940.
Chiede, tramite l’avvocato Tinzl, futuro prefetto nazista nel periodo 1943-45 ed in seguito presidente e senatore dell’SVP, di intervenire presso il Segretario di Stato Buffarini Guidi per cambiare l’opzione e divenire cittadino del Reich nazista. Non riuscendo a raggiungere l’obiettivo per vie amministrative, non si da’ per vinto e, arrivato a Bolzano per una licenza, diserta l’Esercito italiano fascista e si arruola volontario nella Wehrmacht nazista.
Rientrato in Italia alla fine della guerra dopo una lunga prigionia in Russia, mentre il fratello Martin si impegna nella ricostruzione delle scuole sudtirolesi, divenendo primo preside del Liceo scientifico di Bressanone e successivamente uno dei piu’ insigni esperti di storia e letteratura cinese, docente all’Universita’ di Padova, Alfons si impegna immediatamente in politica, entrando nel Consiglio regionale nel 1948 e rimanendovi per cinquant’anni, fino al 1998. La sua elezione nel 1948 venne immediatamente contestata, insieme a quella della trentina Clara Marchetto, accusata di collaborazionismo, perche’ accusato di diserzione dall’Esercito italiano e per questo condannato a 17 mesi di reclusione nel 1949, con sentenza confermata nel 1952.
Sposato con Waltraud Noldin, figlia dell’avvocato Josef Noldin, organizzatore delle Katakombenschulen nella Bassa atesina e per questo internato dai fascisti a Lipari, morto a 41 anni nel 1929, nel dopoguerra Benedikter diventa un esponente di primo piano dell’SVP, costituita nel 1945 da sudtirolesi optanti per l’Italia, e solamente negli anni Cinquanta, con la crisi della situazione politica locale, la sua generazione, che comprendeva anche Magnago, Zelger ed altri nati pochi anni prima dell’annessione e che avevano aderito all’opzione per il Reich nazista, i “giovani turchi” come venivano sprezzantemente definiti dai nazionalisti italiani, prese il potere nel partito, divenendo vicepresidente della giunta provinciale dal 1959 al 1988, l’era di Magnago.
Nel congresso straordinario del partito del 1969 per discutere se accettare il “Pacchetto” che avrebbe portato al Nuovo Statuto, si schiero’ coerentemente con la componente che, non fidandosi delle promesse dello Stato italiano, considerato l’erede di quello fascista, auspicava l’autodeterminazione e l’annessione all’Austria, la potenza tutrice, insieme a Brugger, contro l’ipotesi pragmatica di Magnago. Il fatto che un allora giovane sindaco pusterese di questa componente radicale antiautonomista guidata da Brugger di nome Durnwalder ne sia diventato, vent’anni dopo, l’erede nella carica di Landeshauptmann conferma ancora una volta che tutto fluisce e scorre e che in politica non bisogna mai dire mai.
Fondatore della Cisl, e’ la mente giuridica delle norme di attuazione del Nuovo Statuto, da lui e dalla sua generazione applicato non solo come giusta tutela delle minoranze nazionali, ma con una logica spesso revanchista, che andava a tutelare le minoranze boicottando e danneggiando allo stesso tempo lo Staatsvolk italiano, risolvendo il problema delle minoranze nazionali e causando allo stesso tempo il problema della minoranza italiana, esploso elettoralmente negli anni Ottanta e tuttora non ancora risolto.
Memorabili le confessioni pubbliche di Magnago negli anni Novanta del secolo scorso, quando, al di fuori delle tensioni politiche, poteva tranquillamente ricordare pubblicamente come avvenivano le trattative nei ministeri romani. Il Padre dell’Heimat ricordava che lui e Benedikter andavano a Roma negli anni Settanta ed Ottanta, ed ogni volta incontravano funzionari e politici diversi, che a volte confondevano anche geograficamente, oltre che etnicamente e politicamente, il Sudtirolo con il Trentino. In brevi pause per il caffe’, parlando tra di loro in dialetto sudtirolese, si chiedevano: “Ma hai visto, non sanno proprio niente e non ricordano nulla degli altri incontri! E se gli chiedessimo anche quest’altra cosa?” Silvius ricordava che era sempre l’Alfons a chiedere di andare oltre, e quindi Silvius ne sparava un’altra di grossa… “e ce la davano!”, ricordava pubblicamente Silvius con le lacrime agli occhi dalla commozione e dalle risate.
Teorico della proporzionale etnica e dell’etnicizzazione della politica, ha avuto una concezione militante anche dell’amministrazione, che lo ha portato a separare etnicamente anche gli edifici dell’edilizia sociale, da lui amministrata in maniera etnicamente durissima ma socialmente ammirevole.
Ricordo i miei amici sudtirolesi del PCI e della CGIL che, negli anni 70-80, dovendosi sempre difendere dall’accusa dell’SVP di essersi venduti ai nemici, sulle questioni etniche erano rigidissimi e tifavano tutti per Benedikter, sostenendo che quest’ultimo nella prigionia in quella che era l’Unione Sovietica aveva letto i testi di Marx e Lenin in lingua originale e che continuava a militare nell’SVP per scelta tattica, essendo in realta’ da sempre su posizioni leniniste. Quando chiedevo loro di argomentare meglio le loro affermazioni con degli esempi, mi citavano la posizione di Benedikter sul problema dell’autonomia e dell’autodeterminazione che, secondo loro, riprendeva autenticamente le posizioni di Lenin e Stalin.
La sua politica non solo ha negato lo sviluppo della citta’ di Bolzano, ma ne ha determinato il decremento di oltre 10.000 abitanti a partire dal passaggio delle competenze relative all’edilizia dallo Stato alla Provincia, politica cambiata solamente da quando, a partire dagli anni Novanta, per un insieme di motivi il partito ha pieno controllo anche del capoluogo a maggioranza italiana.
Con la fine dell’era Magnago viene estromesso dalla giunta del pragmatico Durnwalder, che non ha piu’ bisogno di mastini al suo fianco, avendo Magnago gia’ ottenuto oltre l’immaginabile, ma di yes-man che non ostacolino gli imprenditori sudtirolesi, desiderosi di superare le rigide norme di tutela da Benedikter elaborate ed applicate anche e soprattutto in chiave etnica, ma fastidiosissime per gli imprenditori sudtirolesi durnwalderiani rampanti, e nel 1989 passa all’Heimatbund, per riavvicinarsi negli ultimi anni all’SVP.
E’ una biografia politica che sembra un manuale di storia politica e sociale e di storia del diritto, all’epoca in cui la storia, la politica ed il diritto sembravano ancora avere una logica.
Bolzano, 3 novembre 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 4 novembre 2010.