Bilinguismo & potere locale1
La recente decisione della Giunta provinciale di verificare anche dopo l’immissione in ruolo dei dipendenti la conoscenza delle due lingue ha riaperto un dibattito che era silente dopo la recente norma che ha riconosciuto anche ad altri enti, oltre all’Autonome Provinz, il diritto di valutare e certificare il livello di conoscenza delle lingue, e ne e’ probabilmente una conseguenza. A partire dal 1997 un legale precedentemente particolarmente impegnato in politica con i Verdi, nei bei tempi in cui questi erano all’opposizione e non in coalizione con l’SVP, come avviene oramai dal 1995, aveva avviato una battaglia legale per ottenere la possibilita’ di dimostrare il bilinguismo, elemento importantissimo in questo territorio, anche con esami ed attestati diversi da quelli rilasciati dal potere politico locale. Una sentenza della Corte europea del 2000 gli aveva dato ragione e dopo ben dieci anni la Commissione dei 6 ha dovuto recepire la sentenza, a dimostrazione che qualunque governo, ed in questi dieci anni la maggioranza politica statale e’ cambiata 4 volte, e’ sempre molto cauto nel rapportarsi con il partito etnico localmente dominante, visto i fragili equilibri romani che spesso rendono importantissimi anche pochi voti al parlamento. Ora quindi qualcuno potra’ partecipare ai concorsi pubblici anche con attestati diversi, ma l’amministrazione provinciale potra’ accertare la conoscenza della lingua in sede di esame ed anche dopo il superamento dell’esame, nel primo periodo lavorativo.
La norma d’attuazione sul bilinguismo del 1977 ha trovato situazioni molto diverse nei diversi gruppi linguistici, ed anche la scuola ha dovuto giocare un ruolo importante, a partire dal cambiamento della definizione della materia: non piu’ “lingua straniera” ma “seconda lingua”, con tutto cio’ che significava il prendere atto che in questa terra le tre lingue hanno pari dignita’ culturale e nessuno dei tre gruppi deve essere considerato “straniero”.
Diversi erano i livelli di bilinguismo e di scolarizzazione. Nel mondo sudtirolese la conoscenza dell’altra lingua era altissima per molti motivi: la generazione nata negli anni Venti e Trenta era stata obbligata a frequentare le scuole italiane; il servizio militare obbligatorio portava tutti i maschi abili a frequentare per almeno 12 mesi un ambiente assolutamente italiano (di lingua e mentalita’…); tutti i pubblici dipendenti, i postini, i ferrovieri, i Carabinieri, i poliziotti, ecc., erano italiani, e quindi la conoscenza della lingua italiana era diffusissima. Nel mondo altoatesino, soprattutto quello urbano, la situazione era opposta, visto che i contatti con l’altra cultura erano scarsi o nulli, il mercato del lavoro dell’industria, ad esempio, non richiedeva personale bilingue. Per una miscela di ignoranza ed arroganza pochi erano bilingui. Simmetricamente diversa la situazione per quanto riguarda il livello di scolarizzazione. Tra i sudtirolesi pochi erano i diplomati e pochissimi i laureati, sia a causa della chiusura delle scuole sudtirolesi operata dal fascismo, sia a causa della situazione economica e sociale del periodo della prima autonomia. Basti pensare che gli insegnanti laureati nelle scuole tedesche erano pochissimi. Nel mondo altoatesino, dopo il boom economico degli anni Sessanta e la liberalizzazione degli accessi universitari del 1969, il numero dei diplomati e dei laureati, pur leggermente inferiore alla media nazionale, era enormemente superiore rispetto al mondo sudtirolese.
Nel mondo altoatesino si sono sviluppati all’epoca dei movimenti che chiedevano il bilinguismo precoce, l’insegnamento veicolare, momenti di apertura e confronto tra le scuole – tutte proposte assolutamente osteggiate dall’SVP -, e movimenti opposti, sintetizzati dallo slogan “Siamo in Italia, parliamo in italiano”, economicamente, culturalmente e socialmente suicida ma politicamente vantaggioso, con il quale l’MSI e’ diventato il partito di raccolta degli altoatesini negli anni Ottanta. Lottando strenuamente contro i partiti della sinistra e le organizzazioni confederali che chiedevano un tasso maggiore di bilinguismo e tenendosi per oltre trent’anni il monopolio dell’accertamento del bilinguismo l’SVProvincia e’ riuscita a condizionare il mercato del lavoro, soprattutto ma non esclusivamente nel pubblico impiego, dando la possibilita’ alla popolazione sudtirolese di colmare il gap nel settore della scolarizzazione.
Nell’Amministrazione provinciale, ad esempio, da anni e’ possibile partecipare a concorsi interni per ruoli superiori se si e’ in possesso dell’adeguato attestato di bilinguismo, pur senza titolo di studio, ma non viceversa. Visto lo squilibrio tra bilinguismo e scolarizzazione tra i gruppi linguistici e’ facile immaginare chi abbia potuto partecipare a posti per diplomati e laureati anche senza diploma e laurea e chi, pur laureato o diplomato, e’ rimasto nei ruoli obbligati dal “Patentino” di livello inferiore. Il “Patentino” quindi non e’ stato un baluardo utile per le popolazioni locali, anche quella altoatesina, contro la concorrenza nazionale, visto che la conoscenza del tedesco e’ limitatissima in Italia, m un potentissimo strumento del potere politico locale. Come la proporzionale e’ stato uno strumento giusto ed utile per riequilibrare situazioni precedenti inversamente squilibrate, m il suo – ed il loro – utilizzo non sono stati applicati a favore di tutte le popolazioni locali, ma per esercitare un potere politico locale etnicamente caratterizzato e determinato.
Bolzano, 19 settembre 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 21 settembre 2010