Democrazia & autodeterminazione1
La recente proposta del movimento politico di Eva Klotz che tende a promuovere dei referendum a livello dei singoli consigli comunali per esercitare il diritto di autodeterminazione, che in questo momento non avrebbe il consenso dell’SVP nel Consiglio provinciale, ci riporta a vecchie e nuove considerazioni sul diritto di autodeterminazione, la democrazia ed i referendum.
A parte ogni considerazione sulla fondatezza giuridica di tali referendum locali su argomenti di questa portata, si capisce meglio perche’ lo scorso anno, in occasione dei referendum per la democrazia diretta promossi da movimenti politici di base molto attivi nel mondo sudtirolese ma quasi sconosciuti nel mondo altoatesino, la popolazione altoatesina non ha accolto favorevolmente tale proposta, probabilmente anche a causa della considerazione che in 111 dei 116 comuni altoatesini la popolazione di lingua italiana e’ in minoranza numerica, mentre nei 5 comuni in cui e’ maggioranza numerica e’ in coma politico.
Il diritto di autodeterminazione, portato avanti da decenni dai partiti piu’ oltranzisti sudtirolesi e solo temporaneamente accantonato dall’SVP, che lo mantiene nel proprio statuto, non e’ un obiettivo politico di per se’ nazionalista, ed anzi alla fine dell’Ottocento era rivendicato anche dai socialisti per sconvolgere gli imperi plurinazionali, considerati oppressori dei popoli. Gli austromarxisti, ad esempio, nella consapevolezza che alcuni gruppi etnici erano minoranza dominata in un territorio, ma maggioranza dominante in un’altra parte dell’impero, rivendicavano autonomie territoriali, ma contemporaneamente autonomie per i gruppi linguistici localmente minoritari, concetto che potrebbe essere utile riprendere anche a livello locale.
Quando al termine della Grande guerra, applicando alcune clausole del Patto di Londra, ma ignorando i contenuti dei 14 punti di Wilson – che al punto 9 affermava: “La rettifica delle frontiere italiane dovra’ essere effettuata secondo le linee di nazionalita’ chiaramente riconoscibili” -, l’Italia non porto’ il confine settentrionale a Salorno, ma al Brennero, risolse la questione dell’irredentismo italiano ma creo’ la questione dell’irredentismo sudtirolese, ulteriormente aggravata dalla successiva politica fascista. La sinistra socialista italiana era allora favorevole all’esercizio del diritto di autodeterminazione della popolazione sudtirolese, mentre dopo la 2° guerra mondiale, in un contesto di rivendicazioni abbastanza simile, ne’ i socialisti ne’ i comunisti erano favorevoli a tale richiesta. Quando, un po’ provocatoriamente, chiesi trent’anni fa al senatore comunista Mascagni i motivi di tale scelta, lui, abituato come tutti i politici della sua generazione ad argomentare le scelte politiche con motivazioni di principio, storiche e sociali e non in base ai sondaggi del mattino, mi rispose che era giusto appoggiare la richiesta di autodeterminazione dopo la 1° guerra, ma non lo era piu’ dopo la 2° guerra, perche’ nel frattempo si erano insediati nel territorio decine di migliaia di italiani, divenuti in seguito “altoatesini”, e quindi la soluzione politica non poteva che essere al tempo quella dell’autonomia, come effettivamente venne fatto con il 1° Statuto del 1948, anche se l’estensione territoriale regionale ed il centralismo trentino fecero fallire quell’autonomia. Come dire, con Eraclito, che tutto fluisce e scorre, perche’ tutto muta, a parte la legge del mutamento, e ci si puo’ bagnare nello stesso fiume, ma mai nella stessa acqua, e quindi il principio-fiume, l’autodeterminazione, si manifesta in situazioni storiche e sociali-l’acqua sempre diverse. Rivendicare il diritto di autodeterminazione all’inizio del XXI secolo/terzo millennio, quando gli immigrati nella provincia sono orami piu’ numerosi dei ladini e nella citta’ di Bolzano si contano oltre cento etnie, oltre alle tre storicamente insediate e giuridicamente riconosciute, puo’ servire per fare proselitismo politico, ma non risolve alcun problema dei sudtirolesi, mentre sicuramente non aiuta gli altoatesini a sentirsi radicati in questo territorio, continuamente stressati da questa “minaccia di sfratto” portata avanti da chi richiede il diritto di autodeterminazione, vuole eliminare la toponomastica italiana, e nega, ad esempio, che gli altoatesini possano decidere autonomamente come imparare il tedesco nelle proprie scuole.
Se la nazione era, come affermava giustamente Ernest Renan, “il plebiscito di ogni giorno”, l’autonomia dovrebbe essere dinamica, non nel senso di “spremere lo Stato italiano come un limone”, come affermava sprezzantemente Brugger al congresso SVP, ma nella direzione di un coinvolgimento continuo delle popolazioni residenti nel territorio in senso democratico e partecipativo, favorendo lo sviluppo, la democrazia e l’autonomia del territorio, dei gruppi e delle persone, perche’ nel XXI secolo non esistono piu’ territori monoetnici ed autoctoni.
Bolzano, 23 novembre 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 24 novembre 2010.