Monumento & commissioni di studio1
“Il bello dell’alzheimer e’ che ogni giorno conosci gente nuova”, mi ha detto scherzando mio figlio l’altro giorno dopo l’ennesima mia momentanea amnesia, subito da lui diagnosticata come Alzheimer precoce, con tanto di battuta consolatoria.
Il bello dei giornali e’ che la storia sembra sempre essere nuova, si potrebbe dire leggendo i giornali quotidiani non avendo una prospettiva di lettura di lunga durata o di conoscenza storica, in quel balbettio continuo, a volte urlato, di discorso e di memoria collettiva di cui i giornali sono contemporaneamente causa ed effetto.
Per questo motivo il dibattito sul Monumento alla Vittoria ed il suo possibile riutilizzo sembra essere nuovo ed interessante, ma in realta’ e’ tutto un déjà vu.
Gia’ vista al lavoro la commissione di esperti, nominata dalla Provincia nell’estate del 1991, dopo che lo stanziamento statale di 400 milioni di £ire – piu’ o meno lo stanziamento provinciale medio di allora per ristrutturare un albergo gardenese – aveva causato la solita mozione della Klotz in Consiglio provinciale, cui era seguita la richiesta di arrivare ad una proposta da parte di una commissione di esperti. Questi all’epoca furono 9: 3 di nomina ministeriale, guarda caso 3 italiani, docenti universitari e sovrintendenti ai Beni artistici; 3 di nomina provinciale, guarda caso 3 sudtirolesi, funzionari provinciali o dei ruoli locali della pubblica amministrazione; e 3 di nomina comunale, guarda caso 3 altoatesini dell’area politica della maggioranza del Consiglio comunale, giusto per ribadire chi comanda, dove e perche’. La Commissione di studio lavoro’ per oltre un anno, e giunse a proporre di scavare innanzi al sagrato del monumento per ritrovare le tracce del basamento del monumento che gli austriaci avevano iniziato a costruire alla vittoria – la loro – dopo Caporetto, per favorire un dialogo a distanza tra i due monumenti. Si auspicava quindi un riordino della piazza da punto di vista viabilistico, la riapertura della cripta ed il suo utilizzo come luogo di documentazione storica. Se solo avessero coinvolto anche uno storico serio e preparato avrebbero saputo che prima di innalzare il monumento italo-fascista il basamento del monumento imperial-austriaco venne fatto saltare con la dinamite, e quindi difficilmente si sarebbero trovate tracce di quel basamento.
Anche il discorso relativo alle targhe esplicative ha una lunga storia. Dopo decenni di discussioni politiche alcuni pseudo esperti incaricati dal Comune di Bolzano elaborarono un testo, presentato orgogliosamente dall’allora sindaco Salghetti nel gennaio 2004. Il testo era il seguente:
«Questo monumento fu voluto nel 1928 dal regime fascista per celebrare l’annessione di questa terra all’Italia. Essa segno’ il distacco della popolazione tedesca dalla propria madrepatria. La citta’ di Bolzano, libera e democratica, condanna le divisioni e le discriminazioni del passato e ogni forma di nazionalismo, e si impegna a promuovere la cultura della pace e della fratellanza»
Intervistato da questo giornale in proposito ebbi a sottolineare, con quella pedanteria tipica dell’insegnante di un tempo, che la posa della prima pietra del monumento era avvenuta il 12 luglio 1926, in occasione del 10° anniversario dell’impiccagione di Cesare Battisti, e che quindi la decisione di realizzare il monumento non poteva essere stata presa nel 1928. Passando dalle date alle motivazioni, feci notare che il monumento non venne eretto per celebrare l’annessione dell’Alto Adige all’Italia, ma per celebrare la vittoria italiana nella Grande guerra. Conseguenza della vittoria non fu solamente il distacco della popolazione tedesca dalla madrepatria, ma anche il congiungimento delle popolazioni trentine e triestine, sui cui sentimenti nazionali dell’epoca ed attuali si potrebbe discutere a lungo, all’Italia. L’esortazione finale inoltre condannava ogni forma di divisione e discriminazione del passato, ma evidentemente non poteva condannare le divisioni e le discriminazioni, ancora molto numerose, nel presente di allora ed in quello attuale.
Anche conseguentemente a queste lapalissiane osservazioni, le targhe esplicative vennero prontamente modificate. Nonostante tutti i tentativi, non si e’ mai conosciuto l’autore del testo politicamente e grammaticalmente corretto ma sostanzialmente errato dal punto di vista storico.
Quindi non credo che ci sia la necessita’ di costituire nuove commissioni o di elaborare nuovi testi esplicativi. Ritengo molto piu’ utile operare nel presente per cambiare quellaInizio modulo
“vicinanza obbligata”, imposta dalla storia, continuamente svalutativa dell’altro nei discorsi quotidiani, nei messaggi dei mass media, negli esempi della politica, che continua a parlare di convivenza mantenendo continuamente alto il livello di pre-tensione etnica nei confronti dell’altro, nel settore della toponomastica come in mille altri settori, riproponendo continuamente una autonomia non territoriale ma dei gruppi etnici minoritari, quelli nazionali e quelli locali, i quali non riescono in questo modo a rapportarsi liberamente con il proprio passato, ne’ tanto meno con il passato degli altri, incolpando sempre l’altro gruppo dell’origine di ogni problema.
Bolzano, 9 settembre 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 10 settembre 2010