Toponomastica, autorità, autoritarismo & autorevolezza1
Subito dopo l’annessione, i principali punti di contrasto fra il Governatore Militare, Pecori-Giraldi, in una prima fase ed il Commissario Generale Civile, Credaro, in una seconda fase, con il responsabile del Commissariato per la Lingua e la Cultura, l’allora nazionalista e successivamente fascista Tolomei, furono relativi alla toponomastica ed alla scuola, con un durissimo scontro fra quanti, rappresentando lo Stato italiano, cercarono di amministrare queste “nuove terre” con una logica politica rispettosa dell’identita’, della storia e delle tradizioni delle popolazioni che vi abitavano e chi, come il nazionalista Tolomei, pretendeva di cancellare l’identita’ culturale e la storia di queste popolazioni, proprio a partire dalla toponomastica e dalla scuola.
Le autorita’ liberali erano favorevoli all’applicazione della toponomastica italiana, in gran parte inventata a tavolino da Tolomei, cosi’ come erano favorevoli all’apertura delle scuole italiane, ma la nuova denominazione dei luoghi cosi’ come il nuovo sistema scolastico avrebbero dovuto affiancare, non sostituire, le denominazioni e le scuole esistenti.
In una prima fase, quando a Roma governavano ancora i pur deboli governi liberali dell’immediato dopoguerra, Tolomei non riusci’ a vincere la propria battaglia e dovette andarsene, ma in seguito, con l’affermazione del fascismo e della cultura nazionalista, Tolomei riusci’ ad imporre la propria logica. Non a caso il Regio decreto sulla toponomastica e’ del 1923, mentre la chiusura delle scuole tedesche avvenne a partire dal 1926.
La differenza tra una cultura liberale ed una cultura totalitaria parte proprio da questi elementi, dalla accettazione che ci siano diverse culture e che queste possano essere elementi di ricchezza per un territorio. Lo Stato liberale, autorevole ma non autoritario, ne’ tantomeno totalitario, affrontava per la prima volta la questione delle minoranze nazionali, annesse contro la loro volonta’ in seguito ad una politica di annessione territoriale che, rivendicando territori abitati da popolazioni di lingua italiana, aveva superato il limite del confine linguistico per raggiungere un confine militarmente ed economicamente piu’ vantaggioso. Il fascismo ovviamente cambio’ politica, non potendo accettare la distinzione tra cittadinanza e nazionalita’, cercando di snazionalizzare le minoranze e di alterare i rapporti quantitativi tra i gruppi. Anche dopo la Liberazione, la Repubblica cerco’ di rapportarsi con le minoranze locali in modo autoritario, cercando di applicare l’Accordo di Parigi e l’Autonomia del 1948 con un quadro territoriale ed una gestione che non consentiva una reale autonomia delle minoranze.
Con l’Autonomia del 1972 le cose sono andate diversamente, ma non meglio dal punto di vista degli altoatesini e dal punto di vista della democrazia. Il partito etnico locale ha gestito spesso con spirito revanchista l’autonomia come una sorta di autodeterminazione interna, e molti leader del partito hanno avuto la stessa logica di Tolomei, ma simmetrica. Per questi nazionalisti il problema non era solamente quello legittimo di tutelare la propria cultura, ma quello di ritedeschizzare il territorio, riducendo ai minimi termini la presenza degli altoatesini, dello Stato italiano e della sua presenza istituzionale, politica, economica e culturale. I 35.000 cartelli indicatori monolingui ricordano, dal punto di vista quantitativo, gli oltre 25.000 altoatesini che sono scomparsi dal territorio a partire da quando il potere e’ passato dalle mani dei nazionalisti italiani a quelle dei nazionalisti tedeschi. Stando ai dati dei censimenti nel 1971 in Alto Adige vivevano 138.000 italiani, 260.000 tedeschi e 15.000 ladini. Trent’anni dopo, nel 2001, vi erano 113.000 italiani (-25.000), 296.000 tedeschi (+36.000) e 19.000 ladini (+ 4.000).
Come qualsiasi stato-autorita’ autorevole ma non autoritario nel secolo scorso ha sempre imposto la propria toponomastica ed aperto proprie scuole nei territori annessi, rispettando al tempo stesso la cultura locale, ed ogni stato autoritario ha fatto della pulizia etnica un proprio elemento caratterizzante, uno stato democratico autorevole deve rispettare e valorizzare le minoranze etniche presenti nel proprio territorio, ma deve evitare che queste minoranze, una volta ottenuta una autonomia per il territorio nel quale sono maggioranza, usino lo strumento non per tutelarsi ma per eliminare, ridurre, marginalizzare ed umiliare la popolazione che non appartiene alla minoranza ma allo stato nazionale, lo Staatsvolk, come veniva sprezzantemente definita dai sudtirolesi nazionalisti la popolazione altoatesina. Questo e’ stato fatto per decenni per una serie di cause diverse ma convergenti, come la complicita’ dei partner politici altoatesini locali del centrosinistra cooptati nelle giunte dall’SVP tra le persone meno votate dagli altoatesini e dei loro referenti nazionali, che hanno sempre belato una retorica della convivenza, e l’incapacita’ del centrodestra di denunciare le storture dell’autonomia senza diventare nazionalisti e rimpiangere il ventennio, che hanno sempre ululato una retorica nazionalista.
Per questo motivo se lo Stato italiano o l’Europa intervengono autorevolmente per denunciare abusi della gestione dell’autonomia che hanno portato all’eliminazione della toponomastica bilingue, alla marginalizzazione degli altoatesini operata in mille modi – pensiamo al sistema scolastico dove per anni il sistema di potere locale ha negato agli altoatesini il diritto di scegliere come imparare il tedesco, ha negato l’esistenza dei mistilingue, ha creato mille difficolta’ agli altoatesini che volevano iscrivere i propri figli nelle scuole tedesche, ha concentrato la maggior parte degli immigrati nelle scuole italiane, ecc. – ha voluto detenere il monopolio del sistema di accertamento del bilinguismo, ha impedito il diritto di voto agli italiani immigrati da meno di 4 anni, ha imposto il censimento etnico nominativo, ecc., non mi aggrego al gruppo di quanti denunciano un eccessivo centralismo governativo antiautonomista – come il leader trentino Delai che dovrebbe ricordare che lo Statuto del 1948 e’ fallito per un mix il centralismo romano e trentino -, ma auspico che lo Stato italiano, l’Europa e l’opinione pubblica discutano ed intervengano della/nella questione altoatesina, facendo in modo che i gruppi linguistici locali e le loro culture debbano tornare ad avere pari dignita’ e pari opportunita’. Perche’ se sicuramente non e’ vero che “l’Italia qui giunse per civilizzare i barbari”, come e’ scritto sul Monumento alla Vittoria, non credo che i pronipoti dei sudtirolesi vittime della politica fascista possano, in nome della storia e dei torti subiti, fare una politica sostanzialmente uguale e contraria.
Bolzano, 24 luglio 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 26 luglio 2010.