Quando, il 4 novembre, in occasione del Convegno su Ettore Tolomei, ho proposto la discussione di una mozione nella quale proponevo un comune impegno per il mantenimento della toponomastica bilingue e trilingue dell’Alto Adige-Südtirol, ho iniziato l’intervento dicendo “Cari colleghi, cari ex colleghi, cari compagni, cari ex compagni, cari amici, cari ex amici”. Il giornale ha pubblicato il 5 novembre quasi integralmente la mozione da me proposta, ma vorrei approfittare della disponibilità del quotidiano più diffuso tra la popolazione italiana e letto anche da molti sudtirolesi bilingui, per riproporre le considerazioni che mi hanno spinto a presentare quella mozione, nella speranza che della disponibilita’ del quotidiano a dare spazio per la discussione di problemi cosi’ importanti, complessi e delicati, possano approfittare anche colleghi ed ex colleghi, compagni ed ex compagni, amici ed ex amici.
Penso che la semplice discussione da parte del Consiglio provinciale della proposta SVP riguardante la toponomastica, che prevede l’eliminazione della maggior parte della toponomastica italiana, a prescindere dai risultati delle mediazioni politiche e dall’atteggiamento degli organi statali che devono vistare le leggi provinciali (che riproporrebbero una mentalita’ politica in conseguenza della quale gli altoatesini cercano tutela da parte dello Stato italiano di fronte ad una Provincia tedesca), possa rappresentare un punto di non ritorno nei gia’ tesi rapporti tra i gruppi.
Conoscendo la logica e lo stile dell’attuale rappresentanza italiana di giunta posso pensare che, in cambio di alcune migliaia di toponimi -spesso sconosciuti alla popolazione italiana, ma che se proibiti diverrebbero improvvisamente importantissimi- chiederebbero un nuovo incarico per il geometra piu’ italiano tra gli imprenditori, alcune centinaia di miliardi per alcune fabbriche decotte della zona industriale o alcuni appartamenti per gli italiani, ovviamente nella Bassa Atesina, e probabilmente l’SVP sarebbe disposta al baratto, ma dal punto di vista politico ed elettorale sarebbe sicuramente l’ultima trattativa tra l’SVP e questi partiti: la successiva rappresentanza elettorale degli altoatesini in questo caso sarebbe sicuramente diversa.
La richiesta SVP riguardante la toponomastica non e’ nemmeno paragonabile alla proporzionale, sicuramente non amata dagli italiani e recentemente rivalutata anche dai verdi e dai postfascisti.
La proporzionale e’ per certi aspetti odiosa, probabilmente anticostituzionale, sicuramente favorisce l’assimilazione degli altoatesini bilingui e la tedeschizzazione del 4° gruppo. Originariamente partiva dalla necessita’ di consentire l’accesso al pubblico impiego dei sudtirolesi, accesso impedito di fatto dalla politica dell’epoca del fascismo e della prima autonomia. In seguito, per scelte politiche, e’ stata estesa ad altri settori della societa’, con l’ovvia conseguenza di dover quantificare la consistenza dei gruppi e di doversi dichiarare appartenente ad uno dei tre gruppi riconosciuti.
Si trattava pero’ pur sempre di spartirsi risorse limitate: posti di lavoro, alloggi e finanziamenti possono andare o ad un sudtirolese o ad un altoatesino.
Io rimango dell’idea che il criterio del bisogno debba prevalere rispetto alla consistenza dei gruppi e che la carriera debba essere garantita alle persone capaci, meritevoli e bilingui e non ai predestinati di un gruppo etnico, qualunque esso sia, ma mi rendo conto che, per i partiti che si muovono esclusivamente su base etnica, questo criterio rimane indiscutibile.
La proposta di eliminare la toponomastica bilingue in un territorio bilingue e’ ancora piu’ odiosa, perche’ ripropone una impostazione dell’autonomia secondo la quale i diritti di un gruppo devono essere sottratti all’altro gruppo.
Il bilinguismo non fa male a nessuno, a meno che non si desideri creare le premesse per una rapida “ritedeschizzazione” dell’Alto Adige-Suedtirol.
Do you remember Tolomei?
“Lotteremo con ogni mezzo per reitalianizzare il territorio e la popolazione.”
1/3 Cari colleghi, cari ex colleghi,
mi rendo conto che la proposta di discussione di una mozione di tipo politico, riguardante la polis, in occasione di un convegno scientifico, puo’ apparire una grave forzatura e mi rendo conto della caduta di stile di cui mi scuso anticipatamente. Vi sono pero’ delle situazioni nelle quali l’urgenza delle cose si fa notare in tutta la sua pesantezza e ci obbliga a superare questioni di eleganza e di etichetta. Vedo una serie di spie che mi inducono a pensare che questa possa essere l’ultima occasione per discutere serenamente, anche in un ambiente scientifico, di un problema che si riproporra’ nei prossimi mesi e che, a mio avviso, potrebbe determinare una frattura gravissima, non solo a livello politico-partitico, ma nell’intera societa’ altoatesina-sudtirolese.
Nessuno di noi poteva pensare, fino a pochi anni fa, che alla fine del XX secolo in Europa sarebbero scoppiate nuovamente guerre etniche. L’esperienza della Jugoslavia ci ha dimostrato che, anche conseguentemente alla fine del “comunismo reale” -da non confondere con il “comunismo ideale”, finora mai realizzato-, anche all’interno del vecchio continente possono scoppiare guerre per questioni nazionali.
Tutto sommato l’iniziale sconvolgimento si era trasformato in una progressiva rassicurazione: in fin dei conti la Jugoslavia e le regioni balcaniche, pur essendo geograficamente vicinissime all’Italia, costituiscono pur sempre le zone piu’ povere del vecchio continente, e questo ci ha portato a pensare che la nostra ricca provincia sara’ sicuramente immune da questo tipo di problemi.
La scorsa settimana in un’altra regione sicuramente non povera ne’ arretrata dal punto di vista dello sviluppo socio-culturale, il Quebec, il movimento che ha proposto la secessione e’ riuscito a portare la popolazione alle urne, raccogliendo poco meno del 50% dei consensi e non ottenendo quindi lo scopo prefissatosi, ma ugualmente spaccando in due il paese reale.
Domenica scorsa a Borghetto, anche conseguentemente allo sfascio morale, politico ed economico dello Stato italiano, migliaia di trentini hanno tirato fuori i vecchi Lederhosen del nonno ed alcuni, non trovandoli, si sono recati a Bolzano e ad Innsbruck per comprarne di nuovi, forse vendendo i jeans, ed insieme a migliaia di sudtirolesi hanno svolto una manifestazione che nulla aveva a che fare con le proposte di una riforma in senso federalista e democratico dello Stato italiano, ma hanno ribadito un pericolosissimo etnocentrismo a carattere regionale, sicuramente non nazionale, ma non per questo meno gravido di conseguenze destabilizzanti.
Noi sappiamo, anche per studi sociologici e storici, che la storia contemporanea e’ caratterizzata, anche conseguentemente al ruolo sempre piu’ importante dei mass media, da una progressiva accelerazione degli eventi che sembra impedire la possibilita’ di una riflessione relativa agli avvenimenti comunicati in tempo reale ed immediatamente sostituiti da altri avvenimenti ed altre informazioni. In queste situazioni il senso comune della storia, prodotto molto spesso solamente da nozioni scolastiche superficiali ed informazioni giornalistiche non meno superficiali e spesso tendenti al sensazionalismo, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di identita’ personali e collettive. In Alto Adige il rapporto dei gruppi con il proprio passato e’ estremamente diversificato, e vede un gruppo sudtirolese estremamente radicato in questo territorio, con una cultura storica in cui alcuni momenti luminosi (la lotta di Andreas Hofer, la resistenza ai violenti e goffi tentativi italiani di snazionalizzazione, ecc.) si alternano a veri e propri buchi neri riguardanti alcuni periodi ed alcune tematiche storiografiche volutamente ignorate, creando delle radici estremamente robuste ma estremamente rigide.
Nel gruppo altoatesino invece la conoscenza del proprio comune passato, che non raggiunge neppure il secolo di vita, e’ estremamente limitata, cosi’ come e’ limitata la conoscenza della geografia e delle caratteristiche sociologiche del territorio, della lingua parlata dalla maggior parte della popolazione, determinando quindi delle radici estremamente esili.
I grossi sconvolgimenti nel settore della struttura demografica, dovuti ad una inevitabile immigrazione sempre piu’ massiccia, nel settore dell’economia, dovuti a pesanti ristrutturazioni, ed altri fenomeni sociologici non potranno sicuramente essere affrontati bene ne’ da parte di chi ha radici troppo robuste e rigide ne’ da parte di chi ha radici troppo esili.
Pur consapevole che spesso il potere politico ha utilizzato ed utilizza la storia e gli storici per promuovere operazioni culturali di regime, ritengo che la conoscenza della storia locale possa consentire a tutte le popolazioni che abitano il territorio, a prescindere dall’anzianita’ di residenza in provincia, di possedere gli strumenti culturali necessari per vivere e convivere bene.
Cosi’ come fino a pochi anni fa molti storici non ritenevano possibile parlare degli avvenimenti del XX secolo, ritenendoli ancora troppo caldi per poter essere trattati con il necessario distacco scientifico, qualcuno di voi evidentemente si ritiene tutt’ora uno scienziato sociale al di sopra delle parti, dimenticando che nel settore della ricerca storica, ad esempio, si parla da anni della possibilita’ e necessita’ di studiare ed insegnare il presente come storia.
Personalmente non ho mai creduto neppure alla neutralita’ della scienza, ne’ tantomeno credo alla neutralita’ della storia, pur consapevole che esistono diversi metodi di analisi ed esiste ovviamente anche un rigore scientifico nella ricerca storiografica. Ma noi tutti sappiamo perfettamente che ogni scelta non e’ mai neutrale. Nella ricerca storica, ad esempio, la scelta dell’argomento, della periodizzazione e della localizzazione puo’ essere determinante. Faccio un esempio. Se proponessi una ricerca storica-sociologica sul problema dei rapporti tra i gruppi etnici in Alto Adige nel XX secolo, con particolare riferimento ai concetti di integrazione ed assimilazione, analizzando i vari aspetti del problema (culturale, linguistico, simbolico, economico, ecc.) farei gia’ una scelta significativa.
Se proponessi di affrontare la tematica per il periodo 1922-1943, per il periodo 1943-1945, per il periodo 1945-1972, o per il periodo 1972-1995 otterrei sicuramente, in base alla periodizzazione, seguendo la stessa metodologia scientifica, risultati completamente diversi, cosi’ come risultati diversi darebbe la stessa scelta tematica e la stessa periodizzazione applicata al territorio della Bassa Atesina o dell’alta Val Pusteria.
Le scelte non sono mai casuali: possiamo eventualmente dire che, mentre ci sono gruppi linguistici, partiti ed assessori che hanno progettualita’, anche se non sempre condivisibili, ce ne sono altri che sono assolutamente incapaci di esprimere progetti e non riescono a chiedere od offrire altro che sottogoverno.
Anche il settore delle celebrazioni non puo’ essere visto come una serie di scelte casuali ed oggettive. Scegliere di stanziare 10 miliardi per restaurare i forti simboli di Castel Tirolo, l’Abbazia di Stams e realizzare una mostra su Mainardo II, fondatore del Tirolo storico, o scegliere di stanziare 50 milioni per ricordare la Liberazione dal nazi-fascismo, non e’ semplicemente un problema di bilancio, ma e’ una chiara scelta politica. Lo sa perfettamente chi, nell’introduzione al catalogo della mostra di Mainardo II, ha scritto: “Il Tirolo medievale era una regione europea economicamente solida, plurilingue e con relazioni internazionali. La mostra in memoria di Mainardo II si inserisce in un contesto molto attuale, dal momento che la creazione della Regione europea del Tirolo offre l’opportunita’ storica di ricongiungere, attraverso la collaborazione in ambiti diversi, le entita’ politiche ora divise dell’antico Tirolo, pervenendo al contempo a una certa autonomia. Gli interessi in gioco sono sostanzialmente identici a quelli dell’epoca di Mainardo: circolazione, transito, finanza, economia, amministrazione. Pertanto il significato di questa mostra va ben al di la’ di un nostalgico sguardo retrospettivo su un Medioevo tutt’altro che “buio” e di una operazione di politica culturale condotta di comune accordo. Essa potrebbe essere di stimolo ad un riesame approfondito dell’odierna configurazione del Tirolo.”
Pur nella consapevolezza dell’enorme difficolta’ di scrivere le storie di questa terra, da sempre plurietnica e in un prossimo futuro multiculturale, ritengo che il comune impegno per garantire a tutte le persone che ora vivono in questa terra una cittadinanza culturale debba rimanere l’obiettivo primario dell’impegno scientifico e civile di tutti coloro i quali determinano atteggiamenti culturali: storici, insegnanti, giornalisti e, perche’ no?, anche politici.
Do you remember Brecht?
“Bisogna eliminare l’imbeccillita’ (nazionalista), perche’ rende imbecilli chi l’incontra.”
2/3 Cari compagni, cari ex compagni,
i partiti di sinistra da sempre sinceramente e non solamente opportunisticamente autonomisti, da sempre teoricamente plurietnici, di fatto monoetnici italiani, per anni hanno assistito quasi passivamente alla attuazione del secondo Statuto di autonomia, da parte della DC e dell’SVP, attuazione che e’ andata ben oltre la lettera dello statuto, considerando sempre legittime le richieste finalizzate alla sacrosanta difesa dei propri interessi nazionali da parte dei sudtirolesi, anche quando queste andavano, di fatto, ben al di la’ non solamente della lettera dello Statuto, ma anche della propria difesa di status di minoranza, sconfinando nell’interpretazione revanscista dello Statuto. La stessa sinistra ha spesso considerato meschine richieste di mantenimento di interessi nazionali-nazionalistici le critiche che il mondo italiano ha espresso, non sempre in maniera chiara e precisa, rispetto all’autonomia e alla sua attuazione, accettando di fatto la logica dell’SVP, secondo la quale chi critica l’autonomia e’ necessariamente un fascista. Una discussione ad alta voce, ma senza urlare, su cosa possa significare portare avanti un discorso democratico, autonomista, di sinistra, in una societa’ che sembra caratterizzarsi sempre di piu’, non solo per i contenuti, ma anche per uno stile politico poco democratico, in maniera autonomista-separatista ed ultraconservatrice, potrebbe essere l’occasione per superare una situazione nella quale l’opinione pubblica ha semplicemente la sensazione di vedere un confronto personale fra il segretario del PDS ed il suo fax e quello che, non a caso, e’ l’ultimo rimasto di quello che una volta era un gruppo di tre consiglieri provinciali -di cui uno tedesco, votato fedelmente dagli italiani-, attualmente ridotto ad uno, recentemente cooptato in Giunta, che sembra volere stoicamente imporre agli italiani non solo lo stile, ma anche i contenuti dell’SVP, e che non perde occasione per prendersi ingiustamente gli insulti che altri dovrebbero prendersi.
Una sinistra che, con sensi di colpa e spirito di espiazione degni di miglior causa, continua ad accettare le imposizioni della destra SVP e contemporaneamente apre i centri di accoglienza per gli extracomunitari mi ricorda, per coerenza logica, l’attuale dirigenza, si fa per dire, della destra democristiana locale che contemporaneamente propone l’apertura ai postfascisti, accetta le ipotesi dei gruppi estremisti dell’SVP nei delicati settori della toponomastica e della provincializzazione della scuola, e auspica la rapida creazione dell’Euregio.
Nel mondo dei Verdi una recente conferenza ed un imminente seminario sembrano farmi capire che finalmente anche loro hanno capito la differenza sostanziale tra il sentimento nazionale ed il nazionalismo. Se avessero letto anche solamente uno dei minori esponenti dell’austromarxismo avrebbero capito questo aspetto -fondamentale per chi vuole operare politicamente in una maniera non nazionalista in un territorio plurietnico-, molti anni fa, evitando alcuni gravissimi errori di ordine culturale e politico che hanno caratterizzato il loro agire politico e quello del loro leader, a partire dal fatto di proporre la marmellata etnica e la mischkultur come unica alternativa possibile al modello SVP-DC delle societa’ sempre separate e, a volte, ovviamente contrapposte. Rimanendo nella metafora gastronomica, la vera alternativa al nazionalismo non e’ la marmellata etnica, ma e’ l’insalatiera etnica, nella quale, nello stesso contenitore, il territorio, convivono diversi elementi che non perdono le loro singole caratteristiche, che rimangono ben evidenti, ma che non ne impediscono la vicinanza e, anzi, si arricchiscono, per quanto riguarda i colori e i sapori, reciprocamente.
Continuando in questo sommario elenco di errori strategici, mi sembra il caso di ricordare che, nel 1981, nell’anno del censimento etnico, Langer paragonava la realta’ altoatesina alla realta’ del Sudafrica, allora razzista, senza dire chiaramente chi fossero i bianchi ed i negri della situazione altoatesina. Quindici anni piu’ tardi lo stesso leader maximo proponeva il modello altoatesino per una possibile soluzione della questione dei rapporti fra gruppi etnici in Bosnia, dimenticando il piccolo particolare dovuto al fatto che al mondo non esistono due situazioni politiche, storiche, sociologiche ecc., soprattutto in presenza di minoranze, assolutamente identiche, e che quindi nessun modello si puo’ esportare integralmente, e soprattutto il fatto che in Jugoslavia non esiste un’entita’ statale disposta a finanziare una regione cosi’ come lo Stato italiano, pur fra i tanti errori che ha commesso, ha fatto per la Regione Trentino Alto Adige e le due Province autonome. Per non perdere altro tempo, ma potrei continuare, e’ solo il caso di ricordare che nel 1985, in occasione delle elezioni comunali di Bolzano, il leader mistico della convivenza proponeva di mandare l’SVP, partito che raccoglie il 95% dei voti della popolazione sudtirolese, all’opposizione nel Comune di Bolzano, dove invece vive l’80% della popolazione italiana dell’Alto Adige, conseguentemente a quella divisione etnica del lavoro e del territorio che sta alla base di cosi’ gravi problemi politici e sociali. Per chi si propone di governare democraticamente il territorio e’ inconcepibile immaginare di governare contro l’SVP, ma per chi parte da questi presupposti politici risulta particolarmente difficile anche governare insieme all’SVP, visto che, contrariamente a quanto la sinistra ha pensato e detto per tanti anni, successivamente alla chiusura della vertenza internazionale della questione altoatesina, l’SVP non si e’ aperta, dando maggior spazio alle correnti democratiche presenti al proprio interno, ma, al contrario, conseguentemente anche a fenomeni che si stanno sviluppando a livello nazionale ed internazionale, questa nuova fase sembra dare maggiore vitalita’ alle correnti di destra. Quindi la sinistra deve candidarsi a governare insieme all’SVP, ponendo dei limiti ben precisi alle richieste, spesso assurde nei tempi e nei modi oltre che nei contenuti, avanzate dalle correnti di destra dell’SVP, che, non dimentichiamolo, e’ praticamente un partito che raccoglie un insieme di partiti.
Pur avendo spesso paragonato Langer a quei guardiaboschi che, assunti stagionalmente per prevenire gli incendi, divenivano piromani per garantirsi la riassunzione e dimostrare la propria utilita’ sociale, gli attuali esponenti del mondo verde che, intenti a dire le giaculatorie ed a fare oroscopi, sembrano avere rapidamente dimenticato l’impegno del loro maestro per il riconoscimento del quarto gruppo etnico, scelta strategica veramente fondamentale, me lo fanno rimpiangere.
Do you remember Marx & Lenin?
“Chi sbaglia l’analisi sbaglia anche la prassi.”
3.1/3 Cari amici italiani, cari ex amici italiani,
nelle numerose occasioni di confronto politico-culturale riguardante la storia di questa terra e del gruppo di lingua italiana noto sempre una notevolissima resistenza, sempre piu’ accentuata, quando si propone di parlare serenamente di fatti storici avvenuti nel XX secolo, anche perche’, oggettivamente, sembra che adesso la ruota della storia si sia messa a girare al contrario. Consapevole del fatto che il gruppo italiano e tedesco di questa terra nelle varie date periodizzanti del 1918, 1922, 1943, 1945, 1948, 1972, si sono passati il testimone del potere e purtroppo anche del revanscismo, ma proprio nella consapevolezza del rischio che questa logica, ancora cosi’ diffusa in entrambe le popolazioni, possa portare a situazioni incontrollabili, mi piace proporre provocatoriamente nelle situazioni di dibattito alcune questioni. Una di queste e’ relativa ad un particolare aspetto dello Statuto di autonomia del 1972, secondo il quale i gruppi etnici che riescono ad esprimere almeno 2 rappresentanti nel Consiglio Provinciale o nei Consigli comunali hanno diritto ad entrare nelle giunte a titolo etnico. Faccio un esempio: se i 600 ladini di Bolzano, che attualmente esprimono 1 consigliere comunale, riuscissero ad eleggerne un altro, avrebbero diritto ad entrare nella Giunta comunale di Bolzano, perlomeno a titolo etnico. Questo in base al testo dello Statuto del 1972. Nel 1995 pero’ nella citta’ di Bolzano abitano circa 3.000 extracomunitari che non hanno ne’ il diritto di rappresentanza etnica ne’ il diritto di voto. Pensate che sia giusto? Quando pongo provocatoriamente questo quesito mi viene risposto che gli italiani dell’Alto Adige sono presenti nel territorio da 70 anni, mentre gli extracomunitari sono arrivati solamente negli ultimi 10 anni, dimostrando di avere evidentemente una concezione riguardante i diritti di cittadinanza che ricorda piu’ le procedure per l’erogazione dei mutui per l’edilizia popolare, nei quali il punteggio e’ correlato, oltre che al reddito, anche alla anzianita’ di residenza in provincia. Questo stesso atteggiamento, secondo il quale chi e’ arrivato prima in questo territorio ha maggiori diritti, e’ lo stesso atteggiamento che consente all’SVP di negare agli italiani il diritto di fare, nelle scuole italiane, quello che vogliono per quanto riguarda, ad esempio, l’insegnamento della lingua tedesca, ed e’ un atteggiamento civilmente inaccettabile. In prospettiva noi dovremo anche abituarci al fatto che ci saranno sempre altri gruppi piu’ o meno omogenei, anche abbastanza consistenti, che faranno parte del nostro territorio.
Una delle classiche definizioni di nazione e’ quella secondo la quale si tratta di una comunita’ di destini, passati, presenti e futuri. Applicando questa definizione alla comunita’ italiana dell’Alto Adige, non posso che affermare che si tratta di una comunita’ senza un comune destino, passato, presente e futuro. Oggettivamente e’ una comunita’ con una presenza nel territorio che puo’ risalire all’ultimo secolo, anche se le politiche migratorie statali, non solamente quelle fasciste, hanno incrementato l’aspetto quantitativo di questa presenza ma, a parte alcuni tentativi operati dal regime fascista, l’aspetto qualitativo della presenza non sembra essere stato mai preso in considerazione. Si tratta di una comunita’ senza classe dirigente nel settore politico, culturale, imprenditoriale; una comunita’ monolingue in un territorio bilingue; una comunita’ che non conosce ne’ la storia del territorio, ne’ la propria storia; una comunita’ tagliata fuori dalle trattative per il I Statuto di Autonomia e che durante le trattative che portarono al II Statuto di Autonomia, sentendosi tradita dai trentini e minacciata dai sudtirolesi, auspicava il filo diretto, come si diceva all’epoca, con Roma. I mass media italiani dell’epoca erano contrari a chi, anche all’interno dei partiti di governo, era favorevole ad una forma di autonomia provinciale, non piu’ regionale, e sostenevano che l’autonomia provinciale sarebbe stata utilizzata dall’SVP come strumento per arrivare all’autodeterminazione, cacciando o assimilando gli italiani. L’applicazione del secondo Statuto con una logica rigida ha purtroppo spesso dato ragione a queste persone che spesso erano e sono fasciste, ma che sono stati aiutati nella loro capacita’ di previsione da una logica revanscista attuata dalla destra SVP -basti pensare alle proposte relative all’eliminazione della toponomastica italiana, della provincializzazione della scuola, dell’Euregio, ecc.-, trasformando l’estraneita’ degli italiani in una certa ostilita’.
Tutti questi motivi fanno in modo che gli italiani dell’Alto Adige siano gli unici italiani contrari al decentramento da parte dello Stato e all’autonomia. La storica mancanza di credibilita’ dello Stato italiano, accentuata nell’attuale fase di sfascio, dopo avere trasformato gli altoatesini nell’unica minoranza che vive all’interno del proprio Stato nazionale, sembra ora averli trasformati in una minoranza etnica priva di uno Stato-madre di riferimento. Questa situazione che alcuni, tra i quali chi scrive, avevano previsto e denunciato gia’ agli inizi degli anni 80, ha avuto le conseguenze elettorali che conosciamo e puo’ determinare conseguenze sociali imprevedibili.
Dopo avere giustamente voluto l’autonomia provinciale, la sinistra democristiana non si e’ preoccupata di costruire le basi socioculturali per il radicamento degli altoatesini nel territorio, limitandosi a piazzare, conseguentemente al passaggio delle competenze dallo Stato e dalla Regione alla Provincia, i 3/10 di funzionari che spettavano agli altoatesini, senza preoccuparsi di formare una classe dirigente, soprattutto nel settore culturale e scolastico, ed ora ci troviamo in enorme svantaggio rispetto alle opportunita’ che l’autonomia per ora ancora ci concede.
Come i sudtirolesi per anni hanno pagato le conseguenze della politica fascista, che ha impedito la naturale formazione nelle scuole tedesche, per decenni prima chiuse e poi boicottate dalle autorita’ italiane, ed ancora negli anni 70 non si trovavano sudtirolesi diplomati e laureati in grado di occupare i posti di lavoro finalmente resi disponibili dalla proporzionale, negli anni 90 gli altoatesini pagano la mancanza del requisito del bilinguismo, di quello formale, necessario per l’accesso al pubblico impiego, e di quello reale, necessario per vivere nel territorio bilingue.
Dobbiamo creare una classe dirigente sinceramente autonomista, non autono-mistica, ben radicata nel territorio e nella popolazione, disposta a prendere posizione contro lo Stato, se questo confonde un ufficio commerciale con una ambasciata, ma anche contro chi confonde la sacrosanta richiesta di cooperazione transfrontaliera nel settore economico e culturale con la creazione di una nuova entita’ territoriale.
Do you remember Romano Prodi?
“Si puo’ essere ricchi e stupidi per non piu’ di una generazione.”
3.2/3 Cari amici sudtirolesi, cari ex amici sudtirolesi,
quando, negli anni 60, nella piena crisi del primo Statuto di Autonomia, con i sudtirolesi che compivano centinaia di attentati terroristici ed uno Stato italiano che cercava di risolvere anche con l’occupazione militare la questione altoatesina, c’e’ stato chi, nel mondo italiano, nei partiti della sinistra, ma anche nei partiti di governo, ha avuto il coraggio di dire che, per risolvere la questione altoatesina, era necessario riconoscere urgentemente che il quadro autonomistico regionale, attuato con la logica centralistica, che non delegava nulla di realmente importante alle province, non era l’assetto ideale per risolvere la questione altoatesina, perche’ la mentalita’ con la quale era stato applicato il primo Statuto di autonomia aveva determinato un atteggiamento di assoluta mancanza di fiducia, da parte dei sudtirolesi, nei confronti della Regione Trentino-Alto Adige e dello Stato italiano. Questo atteggiamento di critica e apertura puo’ venire solamente da chi e’ sinceramente democratico ed autonomista, da chi crede nella politica di collaborazione e non nelle prove di forza fra i gruppi etnici, e da parte di chi, all’interno dei partiti di governo, con degli sforzi politici e culturali, consapevole anche delle conseguenze elettorali che le proprie scelte possono provocare, si prende la responsabilita’ di affermare, all’interno del proprio gruppo etnico, che non e’ possibile continuare ad umiliare i sentimenti nazionali delle minoranze senza che queste si trasformino inevitabilmente nelle forme del nazionalismo piu’ becero. Negli anni 50 e 60 il mondo di lingua tedesca era chiuso a riccio dal punto di vista politico e culturale, mentre il mondo di lingua italiana, allora garantito dallo Stato e dalla Regione, poteva anche permettersi il lusso di articolarsi dal punto di vista politico e culturale. In questi ultimi anni del secolo, anche ma non solamente conseguentemente all’applicazione dello Statuto di Autonomia, le parti si sono invertite: il mondo di lingua italiana si e’ chiuso sul piano elettorale, politico e soprattutto culturale, mentre il mondo di lingua tedesca, finalmente e giustamente garantito, riesce ad esprimere, soprattutto dal punto di vista culturale, iniziative estremamente interessanti. E’ necessario pero’ che chi ricopre cariche di responsabilita’ e di prestigio all’interno dell’SVP si renda conto che non e’ possibile continuare a parlare di convivenza e a praticare spesso operazioni che non possono che irrigidire i rapporti fra i gruppi.
Come insegnante faccio di tutto perche’ i giovani italiani conoscano la storia del Sudtirolo, mi piace confrontarmi anche con tematiche scottanti, come quella del terrorismo, ricordando, ad esempio, la differenza tra la prima e la seconda fase del terrorismo, quello degli anni 50 e quello degli anni 60, quello che colpiva i simboli dello Stato e quello che cercava deliberatamente le stragi. Ma quando il presidente della Giunta Provinciale, in questo momento di estrema debolezza culturale e politica del gruppo di lingua italiana, conferisce le massime onorificenze del Tirolo a dei terroristi, non crea sicuramente il presupposto per una serena riflessione sul nostro comune passato.
L’incredibile spiegamento di risorse economiche ed umane per la mostra relativa a Mainardo II, operazione politica-culturale esplicitamente realizzata con riferimenti all’istituenda Euregio tirolese, pensata esclusivamente da tedeschi, scritta in tedesco e semplicemente tradotta (male) in italiano, non costituisce sicuramente un progetto di cooperazione transfrontaliera nel settore culturale per quanto riguarda la ricerca storica.
Posso fare di tutto perche’ i giovani italiani si rendano conto dell’importanza di crescere bilingui in questa terra bilingue e del vero e proprio suicidio culturale e politico di chi sostiene che “siamo in Italia, parliamo in italiano!”, ma il blitz del senatore Ferrari, che, andando ben oltre la lettera dello Statuto, ha proposto di estendere il patentino di bilinguismo ai settori per i quali non ne era prevista l’applicazione, non costituisce sicuramente un elemento positivo per fare in modo che i giovani italiani abbiano lo stato d’animo necessario per imparare la lingua tedesca.
Nelle ultime Dichiarazioni programmatiche al Consiglio Provinciale dell’Alto Adige del presidente della Giunta Provinciale e’ stato ribadito che e’ necessario “sviluppare una cultura della convivenza, una nuova scala di valori della nostra patria comune (…) portando avanti le iniziative gia’ avviate e dando nuovi impulsi. La cultura e l’istruzione permettono il dialogo e la diffusione di nuove conoscenze. Il dialogo costituisce un ponte fra il passato e il futuro. E’ importante saper conoscere, trasmettere e sfruttare il nostro patrimonio storico.”
Pensate che il golpe di Ferrari sul bilinguismo, l’imminente provincializzazione della scuola, la proposta di eliminare la quasi totalita’ della toponomastica italiana ed il progetto dell’Euregio Tirolo imposto ad una comunita’ italiana che non ha ancora compreso ed accettato il secondo Statuto di autonomia sia proprio il modo giusto per raggiungere questo obiettivo?
Do you remember Magnago?
“Solo quando tutti i gruppi si sentiranno liberi da timori e paure si avra’ la premessa per quella collaborazione di cui si continua a parlare. Fino a quando un gruppo o l’altro ha paura di soccombere, questa premessa psicologica manca. Quando questa paura non ci sara’ piu’, la collaborazione verra’ da se’.”
Vogliamo provarci insieme?
Giorgio Delle Donne
Bolzano, 13 novembre 1995.
1 Articolo pubblicato sull'”Alto Adige” il 17-18-19 novembre 1995, purtroppo senza la citazione finale di Magnago.