Macro & micro, democrazia & decisionismo 1
La complessita’ sociale sempre piu’ accentuata richiede una maggiore elasticita’ nel governo della nostra autonomia. Una autonomia sempre piu’ centrata su un territorio da sempre plurilingue e sempre piu’ multiculturale e sulle persone che lo abitano potrebbe spostare la titolarita’ dei diritti civili dal gruppo, spesso fonte di pericolose degenerazioni, all’individuo.
Ora che tutte le regioni d’Italia ed altri territori, non solamente europei, abitati da minoranze chiedono una autonomia come quella altoatesina e’ necessario dimostrare di essere in grado di indicare soluzioni sempre piu’ adatte a questa nuova realta’, dove il fattore etnico deve essere considerato solamente uno degli elementi, ne’ l’unico ne’ necessariamente il piu’ importante.
Capisco l’invidia delle altre regioni dell’Italia settentrionale, dove lo stato preleva moltissimo e da’ poco, nei confronti dell’autonomia trentina e sudtirolese e dei suoi finanziamenti, maggiori del prelievo fiscale locale, ma la realta’ trentina, che gode della stessa autonomia e degli stessi finanziamenti di quella sudtirolese, dove nella scorsa legislatura i 35 consiglieri provinciali si sono frantumati in 17 gruppi consiliari e dove nelle questioni importanti e’ difficile vedere nell’attuale governo provinciale politiche diverse rispetto a quelle della legislatura precedente, che pure vedeva una maggioranza politica diversa, dovrebbe fare capire che il problema non e’ solamente quello di decentrare competenze o creare momenti decisionali ai livelli istituzionali piu’ vicini al territorio ed ai cittadini, ma e’ quello della crisi della politica in quanto strumento di comprensione e governo della realta’ nella societa’ complessa in rapidissimo cambiamento. Spesso la politica sembra non essere piu’ la cura del male, ma parte integrante del male stesso.
La crisi della politica come strumento per operare nella realta’ complessa non deve fare invidiare il decisionismo sudtirolese da parte dei trentini e delle altre popolazioni italiane. La gestione locale della ricca autonomia, cosi’ efficiente se confrontata con le altre realta’ italiane, e’ possibile solamente in una realta’ dove il partito etnico raccoglie il 90% dei consensi delle minoranze nazionali, sudtirolesi e ladini, ma il fatto che gli altoatesini siano preoccupati ogni qual volta una competenza passa dallo Stato e dalla Regione alla Provincia dovrebbe fare capire che nella gestione di queste competenze c’e’ qualcosa che non va per quanto riguarda le minoranze politiche ed etniche locali. E’ un sostanziale deficit di democrazia.
Il fatto che il partito che conta 22 seggi dei 35 che compongono il Consiglio provinciale pretenda di modificare il regolamento di procedura di discussione nelle commissioni legislative ed in Consiglio e approfitti delle richieste di modifica della legge elettorale da parte dei trentini per risolvere, in maniera sbagliata, i loro problemi, inserendo anche assessori esterni alla giunta, dovrebbe indurre le persone alle quali stanno a cuore i problemi della democrazia e della reale sopravvivenza delle minoranze – tutte le minoranze, quelle etniche nazionali ne’ piu’ ne’ meno di quelle etniche locali, cosi’ come quelle politiche e di genere – a rivedere continuamente l’analisi relativa alla realta’ sudtirolese, metodo che, tra l’altro, mi risulta essere l’unico metodo valido nelle analisi di ogni realta’ in mutamento.
Spesso i nuovi etnoregionalismi alpini di fine millennio hanno superato la politica di sostanziale lealta’ nei confronti dei rispettivi stati nazionali, considerati oramai obsoleti, in nome delle caratteristiche etniche della popolazione e/o in nome di forme di ecologismo patriottico, e l’estremismo dei moderati e degli appagati si contrappone al silenzio attonito degli esclusi.
Massimo di innovazione e massimo di mediocrita’ e rimpianto nostalgico di un passato mitico/mitizzato etnicamente omogeneo, di fatto mai esistito, convivono nello stesso tempo e nello stesso spazio contemporaneamente a politiche di naturalizzazione delle comunita’, come se queste non avessero bisogno di spiegazioni storiche, essendo appunto naturali. Si ripropone la concezione ottocentesca della nazione, in questo caso regionale/provinciale, come comunita’ di carattere e di destino, sviluppando una concezione etnocentrica della cittadinanza.
I sociologi spesso propongono come sintesi di fine millennio la contrapposizione tra high tech ed high touch, potenza della tecnica e dell’efficienza e necessita’ di confrontarsi faccia a faccia, tra virtualita’ e corporeita’, deterritorializzazione e radicamento, globale e locale.
Ma il locale/localismo contrapposto al globale/globalita’, piu’ ancora di globalizzazione, visto che il processo e’ gia’ arrivato a compimento, con l’imposizione del pensiero unico occidentale, non deve essere necessariamente la contrapposizione della purezza etnica di fronte all’universalismo cannibale. Queste politiche di chiusura verso l’esterno, di espulsione e/o di marginalizzazione delle minoranze interne, non risolvono ma generano continui rancori politici.
Forse si potrebbero sviluppare scelte tendenti a sviluppare le politiche di conoscenza e comunicazione tra persone, con gli ambienti, le culture; politiche di solidarieta’, non solamente di funzionalita’, anche approfittando del fatto che con le nuove tecnologie ed economie i legami territoriali non sono piu’ necessariamente determinati dalla contiguita’, cercando di contrastare l’insorgere di fenomeni di contrapposizione, dovuti al fatto che non solamente le condizioni lavorative, ma anche quelle vitali sono sempre piu’ stressanti, e questo spiega la natura interclassista e la forza dei nuovi movimenti dei “comitati di lotta” che spesso si formano conseguentemente alla emozionalizzazione di fenomeni sociali come l’immigrazione e la criminalita’.
Alla fine degli anni Settanta i primi movimenti di contestazione della globalizzazione sostenevano che era necessario pensare globalmente, ma agire localmente. In questa regione/Regione, ed in queste province/Province, le classi politiche egemoni dimostrano di essere solamente in grado di pensare in piccolo, ma agire/spendere alla grande.
Bolzano, 3 agosto 2000.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 4 agosto 2000.