Scuola & politica 1
L’altro giorno, presentando pubblicamente il volume di Siegfried Baur intitolato Le insidie della vicinanza, ho ricordato che il volume esce all’interno della collana “Educazione bilingue”, che oramai comprende 22 titoli, pubblicati a partire dal 1978, da un ufficio che allora si chiamava “Ufficio bilinguismo” ed ora si chiama “Ufficio bilinguismo e lingue straniere”, di un assessorato provinciale che allora si chiamava “Scuola e cultura italiana” ed ora si chiama “Cultura italiana”. Ho anche ricordato che le tematiche importanti e gli esperti che si sono interessati di queste ultime sono tutti presenti in questa collana, e mi sono complimentato con la direttrice dell’Ufficio, perche’ e’ un piacere vedere che e’ possibile essere dipendenti provinciali senza avere necessariamente una visione provinciale delle cose.
Mi rendo conto di essere un po’ pedante, ma non riesco a non vedere le cose nella loro prospettiva storica, enucleando quelli che a mio parere sono i cambiamenti piu’ significativi, cercando di spiegarmeli e di spiegarli.
Poi mi sono fatto prendere dai ricordi personali, ed ho ricostruito la carriera professionale dell’autore – maestro a vent’anni, direttore didattico a trent’anni, ispettore scolastico a quarant’anni, docente universitario a cinquant’anni – ed ho ricordato, con una certa nostalgia, gli anni Settanta, quando le nostre strade si sono incrociate. E’ sempre bello ricordare i propri vent’anni; lo facevano anche i nostri nonni ed i nostro genitori, che pure avevano avuto vent’anni all’epoca della prima e della seconda guerra, tanto piu’ e’ bello per chi ha vissuto quella stagione di grandi passioni politiche. Nel corso degli anni Settanta, conseguentemente all’applicazione del Secondo statuto, la conoscenza delle lingue e’ diventata sempre piu’ importante in questa provincia. La norma d’attuazione sul bilinguismo ha trovato situazioni molto diverse nei diversi gruppi etnici, ed anche la scuola ha dovuto giocare un ruolo importante, a partire dal cambiamento della definizione della materia: non piu’ “lingua straniera” ma “seconda lingua”, con tutto cio’ che significava il prendere atto che in questa terra le tre lingue hanno pari dignita’ culturale e che nessuno dei tre gruppi deve essere considerato “straniero”. Fino ad allora l’italiano nelle scuole tedesche veniva insegnato anche con un libro scritto per l’Universita’ per gli stranieri di Perugia, ed il tedesco nelle scuole superiori italiane veniva insegnato per i primi tre anni, come venivano insegnate le lingue straniere nelle altre regioni italiane.
Le scuole, allora di competenza statale, erano il centro della vita culturale, e tutti noi che fortunatamente facevamo quel lavoro cosi’ “sociale” ed appassionante pensavamo addirittura di poter cambiare il mondo, perche’, come cantava Guccini, “a vent’anni si e’ stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’eta’”. Ricordo il mio primo giorno di insegnamento, il 24 settembre 1978, il giorno prima ancora a Bologna, la mattina a Vipiteno nella scuola media tedesca e la sera al Circolo della stampa di Bolzano, a discutere pubblicamente un documento che avevo firmato con altre 11 persone, quasi tutti insegnanti, dal quale scaturi’ l’esperienza della Nuova Sinistra/Neue Linke.
E Siegfried c’era sempre: la mattina, quando ci formava come insegnanti, a ricordarci che la scuola non e’ una mongolfiera staccata da questa terra/societa’, e quindi era importante cambiare anche “il sociale”, e la sera, nelle occasioni di dibattito sindacale, culturale e politico, a ricordarci che la politica doveva occuparsi anche della conoscenza delle lingue e delle culture, da operare anche nell’ambito scolastico, senza limitarsi ad auspicare la convivenza, ma creando le condizioni materiali e culturali per la sua realizzazione.
Ricordo i primi scambi di insegnanti e studenti tra scuole dei diversi gruppi, una pratica che ora si sta diffondendo e che allora era vista come una rivolta contro il potere costituito, nei licei di Merano, favorita dall’allora preside del liceo di lingua tedesca, che era stato tra i fondatori delle sezioni tedesche del PCI in Sudtirolo nell’immediato dopoguerra.
E ricordo Benno, che ora dirige l’Accademia di Design, Walter, che ora fa il taxista a Berlino e traduce splendidi libri, Lorenz, che ora e’ il corrispondente da Parigi dell’ORF, Christian, fondatore del Suedtiroler Kulturzentrum, che avrebbe voluto vivere altri cent’anni ed invece s’e’ l’e’ preso il destino, altri che hanno deciso di uscire dalla scena quando meno te lo aspettavi e centinaia di altre splendide persone. Se per tutta la vita mi sono impegnato nel mio lavoro e’ perche’ ho avuto la possibilita’ di conoscere questi sudtirolesi che mi hanno fatto credere che le nostre diverse lingue e culture fossero una chance e non un peso da sopportare per un dannato scherzo del destino.
E giu’ a scrivere libri di storia locale gli uni e giu’ ad insegnare la seconda lingua gli altri, accomunati da questa convinzione che, dati strumenti di comprensione storica, sociologica o linguistica, fosse possibile superare il pre-giudizio etnico ed arrivare al cuore delle contraddizioni, quelle di classe, come si diceva allora, o quelle politiche-sociali, come si direbbe oggi. Ma come mai, si chiede ora opportunamente Siegfried, nonostante tutti questi sforzi, con i relativi costi anche per quanto riguarda gli investimenti nel settore culturale e scolastico, i risultati sono cosi’ scarsi? Se un’azienda fosse gestita in questo modo, con questo squilibrio tra risorse investite e risultati, sarebbe destinata al fallimento. Ora e’ chiaro che la politica non deve ragionare solamente in questi termini, ma e’ opportuno chiedersi quali sono le cause di questa situazione. E Baur ricorda che l’esempio che ci viene proposto quotidianamente e’ quello della “vicinanza obbligata”, imposta dalla storia, continuamente svalutativa dell’altro nei discorsi quotidiani, nei messaggi dei mass media, negli esempi della politica, che continua a parlare di convivenza mantenendo continuamente alto il livello di pre-tensione etnica nei confronti dell’altro, nel settore della toponomastica come in mille altri settori, riproponendo continuamente una autonomia dei gruppi etnici minoritari, quelli nazionali e quelli locali, i quali non riescono in questo modo a rapportarsi liberamente con il proprio passato, ne’ tanto meno con il passato degli altri, incolpando sempre l’altro gruppo dell’origine di ogni problema. In questo modo i diritti vengono riconosciuti solamente in quanto appartenenti, o aggregati, ai gruppi statutariamente riconosciuti, e non si discute nemmeno dei mistilingui che, secondo il paro’n del maso, non esistono o sono “briciole che non si possono contare” nei censimenti.
Questa mentalita’ che riconosce le quantita’ dei diritti civili in base all’anzianita’ di residenza e’ quella che fa dire alla maggioranza dei sudtirolesi che sono loro, i primi arrivati, che devono decidere come si studiano le lingue in questa terra, anche nelle scuole degli italiani, ed e’ la stessa logica che fa dire alla maggioranza degli altoatesini che i gruppi di recente immigrazione devono accettare incondizionatamente le regole locali, altrimenti possono/devono andarsene.
Per questi motivi la richiesta di riconoscimento della presenza di altri gruppi etnici, da verificare nel prossimo censimento, che per essere veritiero deve essere anonimo, e la richiesta di una scuola bi/plurilingue, non solamente per i figli delle famiglie bilingui ma per tutti quelli che lo desiderano, da affiancare al sistema scolastico esistente, non e’ solamente una questione di principio, ma puo’ essere un segnale forte per dimostrare che questa autonomia puo’ essere condivisa da tutti e trasformarsi in un Verfassungspatriotismus, un patriottismo costituzionale che potrebbe unire lealmente gruppi che finora coesistono ma non convivono. Non sarebbe una rivoluzione politica, ma una rivoluzione culturale, profonda, per la quale impegnarci nei prossimi decenni, dentro e fuori la scuola, con un sistema formativo integrato che comprenda la scuola, la formazione professionale, l’educazione permanente, per farci capire che l’autonomia dinamica non significa solamente dare piu’ competenze alla Provincia/SVP senza discutere di come queste competenze sono attuate nei confronti delle minoranze linguistiche e politiche locali, e per farci capire che le competenze provinciali sulla scuola non devono necessariamente trasformarsi in un neocentralismo locale, ancora piu’ odioso perche’ imposto in nome dell’autonomia.
Dico queste cose all’inizio di una campagna elettorale che si anticipa forte nei toni e quasi priva di contenuti, dove l’SVP propone prudentemente ed opportunisticamente l’equidistanza dai due poli, ponendo sullo stesso piano chi si e’ battuto per l’autonomia, pur criticandone alcuni aspetti, e chi l’ha sempre combattuta, chi ha lottato per il bilinguismo e chi ha urlato contro il tedesco ed i tedeschi.
Il tema delle scuole bilingui e del diritto di rivendicare identita’ plurime, complesse, concentriche e dinamiche dovrebbe distinguere chi ha una visione democratica dell’autonomia da chi ha una visione esclusivamente etnica della societa’, e va incontro al futuro guardando solamente al passato.
Chi ha le competenze nel settore scolastico dovrebbe prendere atto di questi cambiamenti: del fatto che le scuole italiane in molti centri della periferia sopravvivono solamente per la presenza degli extracomunitari, il 90% dei quali e’ iscritto nelle scuole italiane; che i figli delle famiglie miste sono iscritti per il 90% nelle scuole tedesche; che molte famiglie italiane iscrivono i propri figli nelle scuole tedesche, applicando una full immersion totale; del fatto che l’integrazione e l’assimilazione sono concetti ben distinti.
A queste persone, e a tutte le persone che credono ancora nell’utilita’ della riflessione culturale e dell’azione politica, consiglio la lettura del libro di Baur, che termina invitando a ribaltare il principio “Primum vivere, deinde philosophari”. Qui stanno tutti bene, potremmo rassicurare i parenti del Nord e del Sud. Nessuno muore di fame, anzi si mangia anche troppo. Ora che la pancia e’ piena, pensiamo alla salute.
Bolzano, 27 gennaio 2001.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 28 gennaio 2001.