Il “modello di convivenza” 1
Sia la decisione di cambiare il nome della piazza simbolo della Bolzano italiana sia quella di indire il referendum contro questa decisione sono state prese senza ponderare molto sulle possibili conseguenze.
Da una parte il centrosinistra italico, socio di minoranza nella ditta SVP & co., che ha dovuto pagare il prezzo dell’appoggio di questo partito all’elezione del sindaco e del “patto d’acciaio”, con ricadute anche nei pochi altri comuni dove ancora esiste una presenza italiana e, soprattutto, nella giunta provinciale e ultimamente anche alle elezioni politiche, senza pensare che gli altoatesini non solo non si sentono sufficientemente garantiti dalla politica di questa alleanza, ma da vent’anni votano in tutt’altra direzione.
Dall’altra il centrodestra italico che si e’ fatto trascinare nella battaglia referendaria che, in caso di sconfitta, avrebbe rafforzato gli avversari, ed in caso di successo avrebbe allontanato la pur minima possibilita’ di rimpiazzare il centrosinistra nelle giunte insieme all’SVP, perche’ qui al paese lo statuto di autonomia prevede che sia garantita la presenza nelle giunte provinciali e comunali dei rappresentanti dei gruppi che esprimono una minima presenza istituzionale, ma non obbliga il partito localmente dominante a scegliere necessariamente i rappresentanti piu’ votati da questo gruppo. Il partito che rappresenta e chiede tutela in quanto minoranza nazionale ed esercita il potere in quanto maggioranza locale sceglie come alleati da vent’anni gli esponenti politici meno votati dagli altoatesini.
La raccolta di firme ha dimostrato immediatamente che agli italiani di Bolzano il nome della piazza stava molto a cuore, perche’ nessuno e’ piu’ attaccato alla propria identita’ di chi non ce l’ha, ed ha dimostrato che l’unico partito italico della provincia con una struttura organizzativa e’ AN, che non ha nemmeno avuto la necessita’ di telefonare qua e la’ per raccogliere le firme, ne’, tantomeno, di fare firmare anche i morti per dimostrare di essere politicamente vivi.
I “quattro saggi” nominati dal Comune hanno ammesso il quesito referendario, mentre insigni giuristi hanno affermato che non sono ammissibili referendum sugli atti legislativi ed amministrativi riguardante i gruppi etnici. In un territorio con una divisione etnica del territorio e del lavoro come questo ho cercato a lungo di immaginare quali possano essere gli atti non riguardanti le minoranze, nazionali o locali, ma non sono ancora riuscito a trovare degli esempi validi.
La campagna e’ iniziata pigramente e senza molta convinzione.
Il coordinatore della Margherita, Roncat – uno che quasi ogni martedi’ prende posizione su una questione, il mercoledi’ viene smentito da altri esponenti del suo partito, il giovedi’ dichiara di volere dimettersi, nel week-end aspetta inutilmente dichiarazioni di solidarieta’ ed il lunedi’ successivo ritira le sue dimissioni, sempre per l’ultima volta – ha dichiarato di martedi’ che la Margherita non avrebbe fatto raggiungere il quorum al referendum, con l’astensionismo. Poi si e’ svolta la solita liturgia settimanale fino al lunedi’ successivo.
Subito dopo e’ arrivata l’assessora alla cultura di Merano, la sempreverde Rossi Saretto, che ha dimostrato ancora una volta che i Verdi si chiamano cosi’ non tanto per la loro politica riguardante l’ecologia, ma per la loro immaturita’ politica. Pur quasi completamente esclusi dal business del potere locale, hanno deciso giustamente di combattere il nazionalismo del partito etnico italiano alleandosi assurdamente ed ingenuamente con il partito etnico tedesco, con il quale hanno stretto lo scorso anno un patto elettorale di doppia desistenza, insieme al centrosinistra italico, spacciato per accordo politico, conseguentemente al quale il deputato ed il senatore della circoscrizione a maggioranza italiana sono risultati i meno eletti dagli altoatesini. L’SVP ha ringraziato tutti ribadendo pochi mesi dopo che il censimento non si tocca, che le scuole bilingui non si faranno mai e che la toponomastica bilingue deve sparire. Parlando del referendum di Bolzano l’assessora, forse in uno slancio eccessivo di democrazia partecipativa, ha detto che al referendum avrebbero dovuto votare tutti gli abitanti della provincia, riguardando il nome di una delle piazze piu’ importanti del capoluogo della provincia.
Le ha fatto eco il mitico Ellecosta, uno che se fosse italiano non lo vorrebbero nemmeno in Unitalia, dicendo che al referendum avrebbero dovuto votare solamente i sudtirolesi, perche’ il nome della piazza offendeva solamente loro, e, visto che e’ uno dei pochi politici che dice sempre quello che pensa e non solamente quello che e’ politicamente opportuno, ha ribadito che ci sono altri odonomi che andrebbero cambiati. Il resto del partito e del gruppo consiliare bolzanino, formato tra l’altro da Buratti, Franchi, Rizzolli, Maffei, a dimostrazione della concezione dell’integrazione etnica che caratterizza il partito, per mesi ha detto che il problema riguardava soprattutto i partiti italiani della coalizione, e si e’ messo in azione solamente nelle ultime settimane.
Poi e’ arrivato il paro’n del maso, Durnwalder, ricordando che in caso di vittoria del fronte del si’ sarebbe stato difficile per lui frenare in futuro le continue richieste dei sindaci sudtirolesi che continuamente gli chiedono di fare piazza pulita degli odonomi e dei toponimi italiani. Dicendo questo lo chef ha sbagliato il tono ed il tempo. Il tono, perche’ molti altoatesini – sbagliando, ovviamente! – l’hanno interpretato come ricattatorio; il tempo perche’ parlando al futuro non ha reso il fatto che quella che lui avanzava come ipotesi futura e’ una realta’ del passato prossimo e del presente.
A pochi giorni dal referendum e’ arrivato l’assessore verde Fattor, che ha candidamente affermato che anche in caso di vittoria del si’ la giunta comunale avrebbe potuto non prendere atto dell’esito del referendum, essendo solamente consultivo, dicendo una cosa giusta dal punto di vista giuridico ma sbagliata dal punto di vista politico, non solamente dell’opportunita’ politica, specialmente per un partito-movimento che, nelle origini, voleva rappresentare gli interessi “della gente” e non di quelli che utilizzano i partiti per interessi di lobby o personali .
Poi, per fortuna, la campagna referendaria e’ terminata, altrimenti la percentuale di elettori che, nauseati dall’arroganza e dalla retorica della “convivenza-modello esemplare per l’intera umanita’”, sono passati politicamente da vent’anni e referendariamente da domenica scorsa sul fronte dell’arroganza e della retorica della destra sarebbe stata ancora maggiore.
La maggioranza dell’elettorato altoatesino vota da vent’anni a destra, per un partito etnico, da sempre nemico della Provincia, mentre la maggior parte dei sudtirolesi vota da sessant’anni a destra, per un partito etnico, da sempre nemico dello Stato, la qual cosa sarebbe sufficiente per smentire i corifei dell’autonomia. Con una sostanziale differenza: il partito etnico sudtirolese e’ ovviamente al potere, quello etnico italiano e’ assurdamente all’opposizione.
Per quanto riguarda gli altoatesini non e’ sempre andata cosi’. Quando, alla fine della guerra, piazza del Littorio e’ diventata piazza Matteotti nessun fascista si e’ sognato di protestare. Quando all’inizio degli anni Settanta sono state eliminate le aquile di Ponte Druso gli ex neo ora post fascisti hanno strillato un po’, ma allora rappresentavano una piccola minoranza dell’elettorato italiano, e non avrebbero nemmeno potuto raccogliere le firme necessarie per il referendum. Ora, in epoca di Vollautonomie, gli altoatesini si sentono sottorappresentati politicamente ed emarginati socialmente, hanno la sindrome della minoranza locale, mentre i sudtirolesi non hanno perso la sindrome della minoranza nazionale, perche’ i due partiti etnici hanno continuato ad alimentare tra le loro popolazioni la diffidenza e la paura verso l’altro: l’altra istituzione, l’altra lingua, l’altra cultura, che nella migliore delle ipotesi va tollerata, ma non conosciuta ne’ tantomeno amata. Perche’ il pendolo del potere negli ultimi cent’anni continua a spostarsi da una parte all’altra, ma non si ferma mai in un punto di equilibrio.
Non credo che il referendum di domenica possa essere destabilizzante, ma e’ significativo del fatto che sotto il mare di soldi c’e’ ancora un mare di rancore e nazionalismo. Il federalismo fiscale prima e l’allargamento/completamento dell’Europa poi, con il conseguente obbligo per gli stati nazionali e quindi anche per la Provincia di confrontarsi con un bilancio decisamente meno ricco, saranno un fattore destabilizzante, ma non determinera’ l’alleanza tra operai italiani e contadini tedeschi. Lenin e’ morto da un pezzo e, come direbbe Woody Allen: “Dio e’ morto, Marx e’ morto, e anch’io non mi sento molto bene”.
Bolzano, 12 ottobre 2002.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 13 ottobre 2002.