Le ragioni della regione1
Il geografo Lucio Gambi, intervenendo negli anni Novanta nel dibattito conseguente al successo dei movimenti etnofederalisti, ha spesso messo in evidenza la differenza tra il regionalismo – il movimento proveniente dalla societa’ civile di rivendicazione di maggiori competenze per gli enti territoriali piu’ piccoli e piu’ vicini alla societa’, sulla base del principio di sussidiarieta’ -, e la regionalizzazione – l’operazione statale verticistica di definizione di ambiti territoriali per esigenze censuarie ed amministrative, operate a partire dai romani fino al secolo scorso -.
A livello regionale Tolomei proponeva negli anni Venti circoscrizioni elettorali applicando un confine verticale, perche’ in questo modo in entrambe le circoscrizioni la maggioranza sarebbe stata degli italiani. Il primo statuto di autonomia riguardo’ l’intera regione per gli stessi motivi, ed ora le competenze sono andate alle due Province con la stessa logica: quella di ritagliare l’ente provinciale o regionale su misura della presenza del proprio gruppo etnico, rivendicando e togliendo competenze all’ente nel quale si e’ maggioranza o minoranza.
Pur con l’opposizione dei sudtirolesi, nel 1947 De Gasperi riusci’ ad allargare il quadro di riferimento dell’autonomia prevista dall’Accordo di Parigi all’intera regione, offrendo l’autonomia anche al Trentino e ponendosi come sentinella nei confronti dei sudtirolesi e difensore degli equilibri etnici della regione, complessivamente favorevoli anche agli altoatesini di lingua italiana.
Subìto dai sudtirolesi, che avrebbero voluto l’autodeterminazione o un’autonomia provinciale, e non voluto dagli altoatesini, che politicamente si sentivano tutelati dallo Stato, il primo statuto venne gestito all’epoca di Odorizzi – che fu anche l’epoca della Guerra fredda e dell’estromissione delle sinistre dalle responsabilita’ di governo – con una logica centralistica/regionale/trentina e quindi con i sudtirolesi come gruppo minoritario, che oggettivamente rischiava l’assimilazione, senza la piena applicazione dell’articolo 14 che prevedeva l’esercizio dell’autonomia da parte della Regione anche attraverso deleghe alle due Province.
Dopo la crisi politica del primo statuto, il Los von Trient ed il terrorismo, con l’emanazione del secondo statuto la Regione e’ stata progressivamente svuotata e le sue vecchie competenze, insieme ad altre precedentemente statali, sono state trasferite alle due Province. I trentini hanno fatto questa operazione nei confronti delle minoranze nazionali residenti in Alto Adige con la stessa logica con la quale posso regalare biancheria intima alle mie amanti o un manuale di cucina a mia moglie, facendo un regalo che sicuramente avra’ delle ricadute positive anche per me. Quando le vecchie competenze regionali e le nuove competenze statali andavano al Trentino, queste venivano e vengono gestite dai trentini; quando queste andavano al Sudtirolo queste venivano e vengono gestite dai sudtirolesi. Anche per questo motivo gli altoatesini sono gli ultimi aficionados dello Stato italiano a Nord degli Appennini, pur risultando evidente la migliore qualita’ materiale della vita conseguentemente alla provincializzazione delle competenze e all’efficienza dell’amministrazione provinciale.
Per venti anni dopo l’emanazione del secondo statuto le minoranze nazionali presenti nel Trentino sono state poco riconosciute, ma non tutelate, ed il progressivo riconoscimento e la tutela sono cresciute man mano che nell’opinione pubblica italiana crescevano le perplessita’ sulla invidiabile realta’ trentina, dove ci sono i soldi e le competenze dell’Alto Adige senza i relativi problemi etnici.
Uno studio promosso dalla Regione negli anni Novanta ha individuato la presenza di 7 gruppi etnici nella Regione Trentino Alto Adige/Suedtirol: dividendoli tra le due province ha individuato sudtirolesi, italiani e ladini in Alto Adige; italiani, ladini, mocheni e cimbri nel Trentino. Sarebbe interessante vedere come risulterebbe questa analisi a livello regionale, senza una suddivisione provinciale: come considerare gli altoatesini ed i trentini? Tutti italiani allo stesso modo? E la proporzionale tra i dipendenti della Regione come viene applicata? Quante sono le quote dei sette presunti gruppi etnici e, tra gli italiani, quanti sono gli altoatesini e quanti sono i trentini? E’ vero che per i sudtirolesi che lavorano in Regione a Trento e’ prevista una indennita’ mensile di circa 200 euro, mentre gli altoatesini (quanti avete detto che sono?) che lavorano in Regione a Trento non hanno questa indennita’? Perche’ a promuovere l’immagine della Regione all’estero ci vanno i trentini? Forse perche’ per i sudtirolesi sarebbe difficile piangere il morto in Italia ed in Austria ed osannare l’autonomia all’estero? Forse perche’ gli altoatesini potrebbero ricordare che negli ultimi 30 anni, quelli della Vollautonomie, trentamila italiani si sono trasferiti nelle altre province d’Italia o nel gruppo etnico localmente dominante? Quali sono le motivazioni di queste scelte? Perche’ costruire nuove identita’ e realta’, anche istituzionali, distruggendone altre? E’ possibile costruire nuovi enti senza motivarli etnicamente e senza distruggerne altri? L’Euroregione tirolese e’ forse politicamente meno inventata e motivata delle Tre Venezie di cui parlava la retorica fascista? Le polemiche sulla denominazione della Regione dopo le ultime riforme costituzionali sono di esclusiva competenza dei linguisti? Su queste tematiche quali sono le differenze tra il Centrodestra ed il Centrosinistra trentino e altoatesino? La nuova giunta regionale non istituzionalizza pericolosamente anche a livello regionale questa concezione etnica della politica? Ma allora gli altoatesini da chi vengono rappresentati, dai meno votati?
Ne’ il primo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie provinciali e di fatto non ha concesso il pieno autogoverno delle minoranze nazionali, ne’ il secondo statuto, che nella sua attuazione pratica ha negato le autonomie comunali e non ha concesso la piena e paritaria compartecipazione degli altoatesini alla gestione dell’autonomia provinciale dell’Alto Adige, cooptando al governo ed al sottogoverno partiti e persone elettoralmente delegittimati da vent’anni, hanno creato i presupposti per quel sentimento di solidarieta’, senso civico di appartenenza e lealismo istituzionale che dovrebbero costituire i presupposti per un pieno utilizzo, su un piano di pari dignita’, delle potenzialita’ dell’autonomia.
Ci potrebbero essere buone ragioni per la Regione se la storia del secolo scorso non pesasse sulle memorie collettive per quello che e’ successo e per quello che si vuole ricordare. Le stesse ragioni, e anche qualcuna in piu’, rispetto alle ragioni che possono auspicare una collaborazione transfrontaliera tra le regioni di confine, se questa serve per favorire la collaborazione tra popolazioni diverse, nella costruzione di una Europa comune, e non per favorire quel populismo etnico storicamente motivato cosi’ diffuso nell’arco alpino. Le stesse ragioni che ci possono mettere immediatamente in contatto con situazioni che avvengono dall’altra parte del globo con conseguenze planetarie, come ci ha insegnato l’11 settembre, dimostrandoci che l’accelerazione della storia ed il restringimento del sistema-mondo sono tra le caratteristiche piu’ evidenti dell’eta’ contemporanea. Ma la Regione non dovrebbe essere quel cimitero degli elefanti dismessi e/o improponibili della politica che invece purtroppo e’ stata negli ultimi decenni, e non e’ detto che la proposta di affidare la leadership della Regione ai due presidenti delle Province risolva il problema, anche se molti trentini invidiano il decisionismo sudtirolese. Questo decisionismo e’ proporzionale alla mancanza di pluralismo in una realta’ dove la minoranza nazionale/maggioranza provinciale vota per il 90% un partito etnico che tratta gli altri gruppi etnici e politici considerandoli solamente in termini numerici. Non e’ un obiettivo da raggiungere, ma un’anomalia vista da chi apprezza il pluralismo e la democrazia.
Anche le recenti polemiche sul futuro della Regione hanno visto schierarsi fronti nettamente contrapposti, che hanno proposto tesi che spesso erano l’opposto di quelle sostenute dai rispettivi partiti per decenni, in fazioni di partiti guidate da personaggi definiti falchi o colombe. Cercasi aquile, disperatamente.
Bolzano, 15 febbraio 2004.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 25 febbraio 2004.