La storia del terrorismo e il terrorismo della storia 1
La pubblicazione del manifesto nel quale si ringraziano pubblicamente alcuni dei terroristi sudtirolesi per le conseguenze politiche della loro azione illegale degli anni Sessanta ripropone la questione del rapporto tra passato e presente e dell’elaborazione degli avvenimenti accaduti in funzione di quelli precedenti, le cause, e di quelli successivi, le conseguenze.
A partire dalla meta’ degli anni Cinquanta e fino alla meta’ degli anni Sessanta complessivamente vennero realizzati oltre 350 episodi terroristici contro i simboli dello Stato italiano, in una escalation di violenza che giunse a colpire anche le vite umane.
Dopo il periodo dell’Alpenvorland, nel quale per la prima volta gli altoatesini si trovarono, isolati, a fare i conti con il sentimento nazionale dei sudtirolesi, che cozzava con la cittadinanza loro imposta con la forza, probabilmente in quel frangente gli altoatesini si resero nuovamente conto di avere a che fare con un movimento politico estremamente determinato ed articolato, che si muoveva sia sul piano politico/pubblico/legale che su quello politico/militare/clandestino.
Il terrorismo sudtirolese degli anni Cinquanta e Sessanta e’ stata una delle forme di resistenza attuate dalla minoranza sudtirolese nei confronti dello Stato italiano. La minoranza sudtirolese, annessa contro la sua volonta’ allo Stato italiano nel 1919, ha conosciuto, dall’annessione agli anni Sessanta, la contraddittoria politica attuata dai deboli governi liberali del primo dopoguerra, la persecutoria politica svolta dal forte governo della dittatura fascista e, dopo la parentesi dell’Alpenvorland, la contraddittoria politica praticata dai governi centristi del secondo dopoguerra.
Tutti i tentativi attuati, manifestamente o subdolamente, dai vari governi per cercare di italianizzare il territorio e/o la popolazione sono fortunatamente miseramente falliti, e l’unica conseguenza concreta si e’ manifestata e si manifesta nel disprezzo, comprensibile, anche se non sempre giustificato, nei confronti dello Stato italiano, anche di quello democratico ed a prescindere dalle politiche attuate, e nel conseguente disprezzo, comprensibile ma non giustificabile, nei confronti della popolazione di lingua italiana, a prescindere dalle articolazioni di classe, politiche e culturali in essa presenti.
Gli italiani dell’Alto Adige devono rendersi conto che senza il Los von Trient ed il terrorismo i sudtirolesi non avrebbero potuto autoamministrarsi all’interno dell’autonomia regionale applicata centralisticamente dai democristiani trentini, e devono smetterla di rimpiangere lo Stato centralista o la Regione centralista che ha sempre tentato, spesso vanamente, di portare avanti politiche che ledevano gravemente la possibilita’ di autogoverno dei sudtirolesi e non sempre hanno tutelato gli altoatesini. Senza questa presa di coscienza non solo non si comprende l’attuale atteggiamento dei sudtirolesi nei confronti dello Stato e della Regione, ma diventa compiacente vittimismo la giusta lamentela contro l’attuale centralismo provinciale e la politica revanscista proposta da quegli esponenti dell’SVP che pretendono di cancellare o ridurre drasticamente la minoranza italiana provinciale, proponendo esclusivamente un rapporto basato sugli equilibri numerici tra le popolazioni locali che, se applicati all’ambito statale, avrebbe di fatto cancellato la minoranza nazionale sudtirolese.
E’ necessario prendere atto, storicamente e politicamente, delle cause che hanno portato al fallimento dello Statuto del 1948 tra i sudtirolesi ed al fallimento dello Statuto del 1972 tra gli altoatesini. Le analogie/simmetrie si fermano a questo punto. I sudtirolesi, negli anni Cinquanta/Sessanta, costituivano una societa’ premoderna e prepolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non aveva conosciuto altro che una politica di offesa e difesa etnica, che ha saputo lottare per difendere i propri diritti, sacrificando pero’ alla difesa etnica quel pluralismo politico e culturale che i veri autonomisti altoatesini tuttora attendono, forse invano. Gli altoatesini, negli anni Ottanta/Novanta, costituivano una societa’ postmoderna e postpolitica che, nel corso dei 40 anni precedenti, non si era mai posta il problema di creare una leadership locale nel settore politico e culturale, considerandosi lo Staatsvolk e senza porsi quindi il problema dell’autonomia e dei problemi che sarebbero sorti con il passaggio delle competenza alla Provincia/provincia, dove gli altoatesini sono, quantitativamente ma soprattutto qualitativamente, la vera minoranza, non a caso in continuo calo a partire dall’emanazione dello Statuto del 1972. Una societa’ postpolitica che non crede piu’ che le proprie condizioni individuali e collettive possano essere spiegate dalla storia e risolte dalla politica.
La “provocazione” della comunicazione politica pubblica attuata con questo manifesto quindi non deve innestare cortocircuiti mentali, culturali e politici, ma deve attivare o riattivare momenti di discussione politica e culturale nei quali confrontare le diverse opinioni, sensibilita’, culture, politiche e linguistiche, con quella serenita’ che dovrebbe caratterizzare una societa’ che dovrebbe essere pacificata non solamente dalla ricchezza dei finanziamenti statali, ma da quella sensazione di sicurezza che dovrebbe derivare da un sentimento di pari sicurezza e di pari dignita’ da parte dei diversi gruppi insediati nel territorio, minoranze nazionali o locali/territoriali che siano.
Se questa sensazione di sicurezza non e’ ancora raggiunta il problema non e’ da ricercare nella storia, nel passato, ma nel presente e nella situazione politica attuale. Ma questa e’ un’altra storia.
Bolzano, 1° dicembre 2004.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 3 dicembre 2004.