60° Resistenza1
Gli avvenimenti
Dopo l’annessione all’Italia del 1919, il governo liberale fino al 1922, la dittatura fascista fino al 1943 e l’occupazione/liberazione nazista fino al 1945, l’Alto Adige/Suedtirol venne liberato nel maggio del 1945.
Venne liberato e non si libero’, perche’ in questa provincia non vi fu una Resistenza quantitativamente e qualitativamente rilevante e del resto nemmeno vi erano stati i presupposti, visto che la popolazione sudtirolese aveva accolto i nazisti come liberatori e l’immigrazione della popolazione italiana era stata favorita dal fascismo.
Questo fatto condiziono’ pesantemente il primo periodo successivo alla Liberazione, caratterizzato anche da alcuni eccidi nazisti svolti a Liberazione avvenuta, come quelli di Merano, Bolzano e Lasa, negli ultimi giorni di aprile e nei primi giorni del maggio 1945.
A parte i pochi sudtirolesi che avevano optato per l’Italia ed i pochi italiani che avevano lottato nella Resistenza, non vi erano altre persone con adeguati requisiti politici e morali in grado di riorganizzare la vita politica del territorio, che venne controllato dal governo militare alleato fino al dicembre del 1945.
Gia’ dopo il luglio del 1943 il quotidiano italiano locale, che aveva tempestivamente eliminato il sottotitolo “Organo del Partito Nazionale Fascista”, aveva ospitato una interessante lettera di Teseo Rossi, avvocato socialista istriano, abitante a Bolzano dalla fine degli anni Venti, sul possibile futuro degli altoatesini senza la protezione del regime, ma la situazione degenero’ dopo l’8 settembre.
Nel corso dei tre anni compresi tra il settembre del 1943 ed il settembre del 1946 il pendolo del potere – che nel corso dell’ultimo secolo e’ passato in questo territorio piu’ volte da un gruppo all’altro, invertendo la posizione di maggioranza/minoranza, evidentemente lasciando piu’ un desiderio di vendetta che uno spirito di conciliazione – si e’ mosso con un ritmo frenetico, spiazzando le popolazioni ed incrementando il desiderio di omogeneita’ linguistica e politica.
Dopo la realizzazione dell'”Asse” e la stipulazione del “Patto d’acciaio” l’avvicinamento ideologico tra i regimi si concretizzo’ nel 1938 con l’emanazione delle leggi razziali e raggiunse l’apice con la dichiarazione di guerra del 1940.
Il dissenso al fascismo, che negli anni Venti era stato ristretto ai membri dei partiti antifascisti, si era progressivamente allargato con la realta’ della seconda guerra mondiale, dopo le acclamazioni seguite alla dichiarazione di guerra, e, dopo il 10 settembre, poteva anche contare su un notevole consenso della popolazione, sconvolta dagli eventi del 25 luglio e dell’8 settembre.
Recenti studi hanno dimostrato che anche il regime nazista, come la Repubblica di Salo’, pur identificandosi con un uomo, in realta’ era caratterizzato da una molteplicita’ di centri decisionali, spesso concorrenziali o conflittuali tra loro nella determinazione degli obiettivi e nella scelta delle strategie finalizzate al loro raggiungimento. La realta’ della guerra, gli scioperi del marzo 1943, la crisi del luglio 1943 e la liberazione di Mussolini, portarono i nazisti a rapportarsi con l’Italia e con gli italiani in modo contraddittorio, considerandola/li alleata/i poco affidabile/i ma necessari, una sorte di alleato occupato.
La Resistenza in Alto Adige fu un fenomeno di e’lite, che coinvolse ristrettissime minoranze delle popolazioni. Le classificazioni di Resistenza come guerra civile, guerra di classe e guerra patriottica di liberazione nazionale in Alto Adige trovano difficile applicazione, non essendoci stati grandi scontri tra le popolazioni dei diversi gruppi linguistici ne’ al loro interno, salvo alcuni episodi di violenze nei confronti dei dableiber da parte di altri sudtirolesi e di collaborazionismo di sudtirolesi nei confronti dei nazisti, ad esempio nella deportazione degli ebrei. La componente di classe non era assolutamente rilevante mancando una tradizione politica socialcomunista. L’unico elemento consistente era quello relativo alla lotta di liberazione nazionale, declinata in maniera diversa dai diversi gruppi linguistici, tanto che vi fu, a partire dalla fine degli anni Trenta, una consistente resistenza sudtirolese antifascista, ma filonazista e, a partire dal 1943, una resistenza italiana antinazista, ma filofascista. Anche i pochi sudtirolesi e altoatesini che erano contemporaneamente antifascisti ed antinazisti avevano prospettive diverse per quanto riguarda il futuro politico del territorio, puntando alla riunificazione con un’Austria democratica i sudtirolesi ed al mantenimento del confine del Brennero gli altoatesini. Il dibattito sulla riforma autonomista e federalista dello Stato, che pur era presente tra gli intellettuali antifascisti al confino o in esilio, come Rossi, Spinelli, Trentin ed altri, era sempre rimasto e’litario e non si e’ mai sviluppato in Alto Adige. Diversa la situazione del Trentino, dove il dibattito sull’autonomia aveva una lunga tradizione anche tra i partiti di massa, come quello popolare e quello socialista.
Anche per questi motivi la Resistenza in Alto Adige fu caratterizzata quindi da un diffuso attendismo, con centinaia di episodi di renitenza alla leva ed una struttura organizzata di assistenza agli internati del Lager di Via Resia, dove transitarono oltre 11.000 persone dirette ai campi di sterminio a Nord del Brennero.
Nel maggio del 1945 venne fondato il partito dell’SVP all’interno del quale, fino ai primi anni Cinquanta, prevalsero i moderati dableiber, mentre in seguito, con la crisi dello Statuto di autonomia dovuta ad un eccessivo centralismo regionale-trentino che porto’ al Los von Trient del 1957, prese il potere una nuova generazione di persone che si erano formate durante il fascismo aderendo al nazismo.
Nel 1945 gli italiani dell’Alto Adige, che allora per ovvi motivi non esprimevano ne’ una classe dirigente ne’ una societa’ civile, aderirono ai partiti nazionali esistenti e non riuscirono ad inserirsi a pieno titolo nelle trattative che portarono all’elaborazione dello Statuto di autonomia, sentendosi tutelati dallo Stato e dalla Regione.
L’Alpenvorland
Il 9 settembre 1943 il Gauleiter del Tirolo Franz Hofer venne nominato commissario della Zona di operazioni delle Prealpi, Alpenvorland, comprendente le province di Bolzano, Trento e Belluno, ed il Gauleiter della Carinzia, Friedrich Reiner, fu nominato commissario della Zona di operazioni del Litorale Adriatico, Adriatisches Kuestenland, comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, zone operative costituite lo stesso giorno.
La particolare importanza riconosciuta a questi territori di confine venne evidenziata dalla subordinazione diretta ad Hitler dei due commissari, che gestirono le loro competenze nella massima autonomia e con progetti politici specifici nelle due zone. Nell’Alpenvorland Hofer cerco’ di far leva sulle nostalgie asburgiche di gran parte delle popolazioni, non solamente di lingua tedesca, umiliate dalla politica fascista che aveva tentato di stravolgere le caratteristiche etniche del territorio e della popolazione in Alto Adige e, con il suo centralismo, aveva fatto rimpiangere l’amministrazione asburgica ovunque. Il sogno pantirolese, oltre che pangermanico, di Hofer, veniva attuato in condizioni particolari all’interno della provincia di Bolzano dove, conosciuti gli esiti plebiscitari a favore della Germania nazista delle opzioni del 1939, quando la popolazione aveva optato per la cittadinanza germanica, che sarebbe stata acquisita solamente al momento dell’effettiva emigrazione, la Wehrmacht aveva da anni aperto gli uffici di leva, ed il movimento nazista, che negli anni Trenta aveva soppiantato la resistenza cattolica degli anni Venti ai maldestri tentativi italiani di assimilazione, da anni si adoperava nell’attesa di una annessione al Reich.
Pur non esistendo una formale dichiarazione di annessione della zona al Reich, l’Alpenvorland di fatto passo’ nelle mani dell’autorita’ germanica, che impedi’ la formazione di sezioni locali del Partito Fascista Repubblicano e del Partito Nazionalsocialista per evitare che i nazionalisti locali potessero creare problemi politici, impedi’ che Mussolini trasferisse la sede del suo governo a Merano, chiuse il giornale “La Provincia di Bolzano”, impedi’ la diffusione della stampa italiana, requisi’ molti edifici che ospitavano scuole italiane e destitui’ autorita’ italiane. Probabilmente questa fu la prima occasione nella quale la comunita’ di lingua italiana si rese conto della precarieta’ della propria situazione, creata in poco tempo per motivi politici, che con le stesse modalita’ avrebbe potuto scomparire.
La Arbeitsgemeinschaft der Optanten fuer Deutschland, creata nel gennaio del 1940 per tutelare gli interessi dei sudtirolesi optanti per il Reich, guidata fino al dicembre del 1943 da Peter Hofer, raccolse l’eredita’ politica ed organizzativa del Voelkischer Kampfring Suedtirols, che negli anni Trenta aveva organizzato la resistenza sudtirolese al fascismo, orientandola nella politica nazista, soprattutto durante la propaganda per le opzioni. Con la pubblicazione dei risultati delle opzioni, il reclutamento nell’esercito tedesco degli optanti e l’apertura delle scuole per i figli degli optanti, fin dal 1940 la popolazione sudtirolese vide nell’adesione al nazismo una progressiva liberazione dal fascismo e dopo l’8 settembre 1943 si ritrovo’ pronta ad aggredire gli altoatesini che piu’ si erano schierati con il fascismo ed i sudtirolesi che avevano optato per l’Italia.
I processi per collaborazionismo e l’epurazione
Tra l’estate del 1945 e la primavera del 1947 le Corti d’assise straordinarie per i reati di collaborazione con i tedeschi, istituite con decreto del 22 aprile 1945, formate da un magistrato e da quattro giurati nominati in un primo tempo dal CLN ed in seguito dal presidente del tribunale, celebrarono in Italia almeno 20.000 processi, condannando migliaia di fascisti e collaborazionisti a lunghe pene detentive e alla pena capitale. Le corti d’assise avrebbero dovuto svolgere i loro compiti in sei mesi, ma la carenza di magistrati non compromessi con il regime e la mole di lavoro resero necessario un prolungamento dei lavori e la trasformazione delle corti in sezioni speciali delle corti d’assise ordinarie. La maggior parte delle sentenze, soprattutto quelle emanate durante il primo periodo, quando l’influenza politica del CLN era maggiore e le motivazioni delle sentenze meno articolate, venne cassata nei ricorsi.
Pochi mesi dopo l’emanazione delle leggi per l’epurazione e contro i collaborazionisti venne emanata l’amnistia del 1946, la prima del genere in Europa, che ottenne sicuramente lo scopo di risocializzare i numerosissimi ex fascisti, senza i quali difficilmente sarebbe stata possibile una ricostruzione nazionale, ma venne interpretata anche come segnale di sconfitta da parte di una consistente componente del movimento resistenziale.
Come dimostrato dalle ricerche storiche, nelle diverse regioni italiane l’epurazione fu ovviamente piu’ blanda dove il consenso fu maggiore e viceversa. In Alto Adige la Resistenza si era sviluppata tra mille difficolta’, dovute alla particolare realta’ locale, che aveva visto la maggior parte dei sudtirolesi opporsi ai tentativi italiani di snazionalizzazione e di alterazione degli equilibri numerici tra i gruppi con una resistenza egemonizzata prima dalla Chiesa e poi dal crescente nazismo; la maggior parte degli altoatesini aveva avuto dal fascismo un lavoro ed una casa e, anche se non tutti si sentivano dei fieri colonizzatori, poche erano le persone che si erano battute contro il fascismo. Secondo alcuni storici cio’ era dovuto alle particolari condizioni di regime poliziesco instaurato nell’Alpenvorland, ma cio’ non impedi’ alla Resistenza di svilupparsi nella provincia di Belluno.
Quindi in Alto Adige vi erano molti italiani antinazisti, ma fascisti e molti sudtirolesi antifascisti, ma nazisti, e anche per questo motivo dopo la Liberazione la provincia divenne sicuro rifugio di molti fascisti italiani e nazisti germanici ed austriaci che transitarono in Alto Adige per sfuggire da situazioni gravemente compromesse.
Nella prima pagina del primo numero dell’ “Alto Adige”, quotidiano del Comitato di Liberazione Nazionale che riprendeva la testata del quotidiano liberale trentino ottocentesco, il 25 maggio 1945, l’articolo di fondo intitolato “Collaborazione” mette in luce chiaramente questa situazione che aveva caratterizzato, e avrebbe caratterizzato anche in seguito, la realta’ della provincia.
Anche l’opuscolo intitolato “Perche’?”, edito dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nel 1946, prendendo lo spunto dalle affermazioni del “Volksbote”, ribadisce che
“Affermare che non un partigiano italiano fu visto in Alto Adige – affermazione troppo ingenua se non fosse dettata da malafede – significa non sapere che i partigiani scesero in campo aperto solo dove le popolazioni erano pronte ad aiutarli e lottare con essi, significa quindi dimenticare che in Alto Adige, al contrario di quanto stava avvenendo in tutto il resto dell’Italia occupata, una gran parte della popolazione tedesca era nemica e decisa a collaborare con le forze d’occupazione hitleriane, come gia’ aveva fatto nelle giornate dell’8 settembre.”
e raccoglie la documentazione dell’attivita’ politico-militare della Resistenza italiana in Alto Adige, senza chiedersi per quali motivi la Resistenza fosse rimasta un fenomeno poco diffuso nella realta’ altoatesina e ancor meno in quella sudtirolese, quest’ultima anche volutamente sacrificata nei decenni successivi sull’altare dell’unita’ etnica, fino a quando, negli anni Settanta, una nuova storiografia non e’ riuscita a ricostruirne le vicende.
E’ in questo clima che si svolsero i processi della Corte d’Assise Straordinaria di Bolzano, con un passato ancora dolorosamente aperto ed un futuro incerto anche per quanto riguardava gli assetti territoriali, che vennero decisi a Parigi nel settembre 1946; con notevoli difficolta’ per trovare giudici e membri delle giurie popolari di entrambi i gruppi etnici non compromessi con i passati regimi ed una questione giuridica di fondo che metteva in discussione la stessa possibilita’ di considerare i sudtirolesi optanti per il Reich collaborazionisti con il tedesco invasore: noi non abbiamo collaborato con i tedeschi, sostenevano alcuni imputati, noi siamo tedeschi!
Da una relazione ministeriale del 1953 si ricava che in Italia fino al 31 dicembre 1952 5.594 persone erano state condannate per collaborazionismo, di queste 259 erano state condannate a morte, pena eseguita in 91 casi. Dei 5.594 condannati, 5.328 erano stati scarcerati anticipatamente per amnistia, indulto, grazia o liberta’ condizionale: a 7 anni dalla fine del fascismo rimanevano incarcerate per collaborazionismo 266 persone.
Il rapporto dei gruppi con la storia
Il Comune di Bolzano si e’ costituito parte civile nel processo che vede imputato un boia del Lager di via Resia. E’ lo stesso Comune che, alla fine degli anni Sessanta, quando il problema degli alloggi era ancora pressante e decine di famiglie di proletari italiani abitavano nei capannoni del Lager, ha consentito la totale distruzione dello stesso, a parte l’anonimo muro di cinta, per l’edificazione di altrettanto anonimi condomini.
Quando si parla di Comune, Provincia, altoatesini e sudtirolesi facendo riferimento ad avvenimenti accaduti nel corso dei decenni scorsi si deve ovviamente pensare che con questi termini collettivi intendiamo diverse persone ma anche persone diverse: le entita’ amministrative ed i gruppi linguistici sono gli stessi, ma, nel corso del tempo, im Lauf der Zeit, sono composti da persone diverse, che vivono condizionati dal passato, divenendo protagonisti del loro presente e condizionando il futuro, in una catena infinita.
Non tutti gli anelli di questa catena ci sono sempre presenti: a livello individuale e collettivo memoria ed oblio operano continuamente, selezionando e scartando cio’ che e’ utile e cio’ che e’ inutile ricordare. Le operazioni di rimozione di cio’ che e’ inutile, doloroso o sconveniente ricordare sono argomento di discussione di psicologi e psicanalisti per il livello individuale; storici, politici e tutte le persone socialmente impegnate per il livello collettivo.
In uno dei numerosi libri pubblicati, non a caso, negli ultimi anni sul problema dell’uso pubblico della storia, sull’ipertrofia dell’informazione e la capacita’ di rielaborazione del passato nelle societa’ che cambiano alla velocita’ della luce, uno storico riportava gli esempi degli smemorati e delle persone che non riescono a dimenticare nulla, giudicando il secondo caso non meno penoso del primo, anche se sicuramente meno diffuso.
Per quanto riguarda la memoria collettiva dell’Alto Adige/Suedtirol i diversi gruppi hanno memorie diverse, diversamente costruite ed alimentate.
I sudtirolesi hanno costruito con successo il mito/immagine di se stessi come vittime del fascismo e del nazismo. Con questa immagine hanno raggiunto ottime posizioni politiche e, non a caso, solamente dopo averle raggiunte si e’ diffusa una nuova storiografia che ha potuto rileggere il Novecento vedendo anche l’adesione opportunistica di alcuni sudtirolesi al fascismo e l’adesione entusiastica della maggior parte dei sudtirolesi al nazismo.
Gli altoatesini, che per decenni hanno continuato a considerarsi lo Staatsvolk, senza preoccuparsi di conoscere la storia locale e perfino la lingua locale, solamente ultimamente hanno iniziato a cercare di conoscere la realta’ locale, della quale oramai fanno parte da un secolo. Il partito che piu’ li rappresenta fino a pochi anni orsono urlava “siamo in Italia, parliamo l’italiano, non il tedesco” e, in vista della provincializzazione della scuola, sosteneva che gli altoatesini sarebbero stati obbligati a studiare Hofer al posto di Garibaldi, purtroppo validati dalla assurda proposta del dicembre 1997, in seguito ritirata a furor di popolo, della Sovrintendenza scolastica di centrare gli esami della maturita’ del 1998 sulla storia locale al posto, non accanto, alla storia nazionale/generale.
L’interesse per il passato e’ proporzionale ai progetti per il futuro: chi vive alla giornata, esistenzialmente o politicamente parlando, non ha alcun interesse a conoscere la storia, e questa mancanza di progettualita’ politica e di interesse per il passato purtroppo sembra essere una caratteristica nei nostri tempi.
La storia locale non deve essere utilizzata come un’arma nei confronti del nemico, ideologico o etnico che sia, ne’ per rafforzare inossidabili identita’, ideologiche, come negli anni settanta, o etniche, come nei progetti politicamente determinati di costruzione di identita’, padane o tirolesi che siano, ma per educare alla complessita’, in un processo di revisione continua delle identita’.
La storiografia sulla Resistenza
Nella prima pagina del primo numero dell’ “Alto Adige”, quotidiano del Comitato di Liberazione Nazionale che riprendeva la testata del quotidiano liberale trentino ottocentesco, il 25 maggio 1945, l’articolo di fondo intitolato “Collaborazione” mette in luce chiaramente l’anomala situazione che aveva caratterizzato, e avrebbe caratterizzato anche in seguito, la realta’ della provincia.
Anche l’opuscolo intitolato “Perche’?”, edito dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nel 1946, prendendo lo spunto dalle affermazioni del “Volksbote”, ribadisce che
“Affermare che non un partigiano italiano fu visto in Alto Adige – affermazione troppo ingenua se non fosse dettata da malafede – significa non sapere che i partigiani scesero in campo aperto solo dove le popolazioni erano pronte ad aiutarli e lottare con essi, significa quindi dimenticare che in Alto Adige, al contrario di quanto stava avvenendo in tutto il resto dell’Italia occupata, una gran parte della popolazione tedesca era nemica e decisa a collaborare con le forze d’occupazione hitleriane, come gia’ aveva fatto nelle giornate dell’8 settembre.”
E raccoglie la documentazione dell’attivita’ politico-militare della Resistenza italiana in Alto Adige, senza chiedersi per quali motivi la Resistenza fosse rimasta un fenomeno poco diffuso nella realta’ altoatesina e ancor meno in quella sudtirolese, quest’ultima anche volutamente sacrificata nei decenni successivi sull’altare dell’unita’ etnica, fino a quando, negli anni Settanta, una nuova storiografia non e’ riuscita a ricostruirne le vicende.
Fino all’aprile del 1948 il quotidiano “Alto Adige” riporta numerose testimonianze relative al periodo dell’Alpenvorland, del Lager, della Resistenza e della Liberazione.
La situazione cambia radicalmente con il mutato clima politico postelettorale ed il cambiamento della proprieta’, passata dal CLN in mani private filogovernative. Da allora, soprattutto con la crisi dello Statuto di autonomia del 1948 e lo sviluppo dell’irredentismo sudtirolese, i riferimenti alla Resistenza ed alla Liberazione diventano sempre meno frequenti, lasciando il posto ad interessanti ed interessate ricostruzioni di angherie subite da italiani da parte dei sudtirolesi durante l’Alpenvorland.
La situazione cambia negli anni Settanta, conseguentemente all’emanazione dello Statuto del 1972 e del clima politico dell’epoca.
Nel 1975 andai a Milano, nella sede del Movimento Studentesco di Piazza Santo Stefano, a ritirare la pizza del film “Il caso del partigiano Pircher”. Il tutto prese avvio dall’incontro casualmente avvenuto nel carcere di Fossano tra Giovan Battista Lazagna, ex partigiano e membro di “Soccorso Rosso”, accusato di essere un fiancheggiatore delle Brigate Rosse, e Hans Pircher, sudtirolese accusato di un omicidio avvenuto in Val Passiria tra la fine della guerra ed i primi mesi dopo la Liberazione ad opera del gruppo di Karl Gufler, considerato un partigiano dalla popolazione locale ma un bandito dalle autorita’ italiane. Visto che la politica della memoria ufficiale/SVP non prevedeva il ricordo di personaggi di questo tipo, il povero Pircher se ne stava da anni in carcere e solamente l’azione di Lazagna, che pubblico’ anche un libro sulla sua storia, mise in moto un movimento di opinione che ne chiese la liberazione. Forcato commissiono’ la realizzazione di un documentario sulla sua storia, che ritirai personalmente a Milano e venne proiettato il giorno seguente nella sala di rappresentanza del Comune di Bolzano alla presenza dello stesso Lazagna e della nipote di Pircher.
La maggior parte degli opuscoli di lingua italiana editi a partire dagli anni Settanta prende lo spunto dall’opuscolo intitolato “Perche’?”, edito dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nel 1946, come risposta alle affermazioni del “Volksbote”, che aveva sostenuto che non vi era stata una Resistenza italiana in Alto Adige.
L’unica pubblicazione scientificamente rilevante e’ il volume intitolato “Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland”, edito da Marsilio nel 1984, che, raccogliendo gli atti di un convegno dallo stesso titolo svolto a Belluno nel 1983, ricostruisce dettagliatamente molti aspetti del periodo.
Non vi sono echi significativi nella storiografia locale delle nuove piste di indagine della storiografia resistenziale italiana degli ultimi vent’anni, riguardanti, ad esempio, il rapporto tra Resistenza e violenza, donne e Resistenza, le vicende degli Internati Militari Italiani, ed altro.
Bolzano, 23 aprile 2005.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull'”Alto Adige” il 24 aprile 2005.