Passato & Presente1
La recente proposta di istituire un’onorificenza per i combattenti del periodo 1940-1945, comprendendo indistintamente i militari dell’esercito nazionale del periodo 1940-1943, dell’esercito badogliano del periodo 1943-1945, della Repubblica di Salo’ del periodo 1943-1945, partigiani ed altri, e’ l’ultimo atto di un dibattito storiografico e politico che si e’ sviluppato a partire dai primi anni Novanta.
Dopo la fine della Prima repubblica, l’implosione dei partiti dell’arco costituzionale conseguente a Tangentopoli ed alla caduta del muro di Berlino, il successo elettorale della Lega prima e del Centrodestra nel 1994, molti politici ed intellettuali si sono posti il problema dell’identita’ nazionale degli italiani e dell’attualita’ dell’antifascismo.
Ricordo personalmente il clima delle celebrazioni del 50° anniversario della Liberazione, nel 1995, con manifestazioni di massa di gente sconvolta dalla presenza al governo di forze politiche che non erano antifasciste, ed alcune erano state fino a poco prima dichiaratamente neofasciste. La memoria della Resistenza, cosi’ “calda” negli anni Settanta, fino all’anno precedente era divenuta una cerimonia rituale, alla quale partecipavano solamente politici “professionalmente antifascisti”.
Questo per dire che la storia e la sua memoria dipendono sempre dalla situazione presente, e, per quanto riguarda le iniziative pubbliche, dalla situazione politica presente.
Gia’ nell’immediato dopoguerra le celebrazioni della Liberazione avvenivano diversamente al Nord, occupato per venti mesi dalle truppe naziste aiutate dai collaborazionisti di Salo’, e teatro della Resistenza, e al Sud, liberato dalle truppe americane. Al Nord le manifestazioni erano piu’ caratterizzate politicamente, al Sud spesso erano sfilate delle truppe militari. La memoria della Resistenza dopo il 1948 e’ divenuta strumento di lotta politica da parte del PCI, da poco estromesso dal governo, che della Resistenza era stata la parte piu’ attiva ed organizzata dal punto di vista politico e militare, nei confronti degli altri partiti, in una ricostruzione che spesso era apologetica. Solamente la letteratura, all’epoca – pensiamo a Calvino e Fenoglio -, poteva raccontare i drammi personali, le sfumature, i casi della vita che portavano ragazzi ventenni a schierarsi, per diversi motivi e per motivi diversi, da una parte o dall’altra: “Bastava poco, per essere dall’altra parte”. La storiografia non era ancora in grado di affrontare serenamente tematiche ancora cosi’ “calde”. La Destra definiva sprezzantemente la Resistenza come “una guerra civile”, e la Sinistra, ideologicamente, sosteneva che la Resistenza era stata una guerra di popolo, evidentemente sottovalutando la definizione di Togliatti del regime fascista come “regime reazionario di massa”. Dopo il furore ideologico degli anni Settanta, quando i giovani extraparlamentari dell’epoca, io compreso, parlavano di “Resistenza tradita” da parte dei partiti di sinistra, il volume di Claudio Pavone del 1991, significativamente intitolato “Una guerra civile”, analizzava finalmente le diverse motivazioni delle componenti della Resistenza, non semplicemente riconducibili ai diversi partiti politici che la coordinavano. I recenti volumi di Santo Peli e di Sergio Luzzatto hanno ulteriormente definito alcune caratteristiche ed alcuni filoni di ricerca precedentemente ignorati o sottovalutati, come gli IMI, gli Internati Militari Italiani, il ruolo delle donne, la Resistenza non violenta, ecc.
Direi che la lettura ed il dibattito intorno a queste pubblicazioni potrebbe essere molto piu’ utile della proposta di istituire una onorificenza che metterebbe sullo stesso piano vittime e carnefici, confondendo le diverse parti in causa, in una patetica ricerca di riconciliazione nazionale e di storia condivisa.
Queste considerazioni generali vanno integrate, come sempre, quando si parla del territorio altoatesino, che venne liberato e non si libero’, perche’ in questa provincia non vi fu una Resistenza quantitativamente e qualitativamente rilevante e del resto nemmeno vi erano stati i presupposti, visto che la popolazione sudtirolese aveva accolto i nazisti come liberatori e l’immigrazione della popolazione italiana era stata favorita dal fascismo.
La Resistenza in Alto Adige fu un fenomeno di e’lite, che coinvolse ristrettissime minoranze delle popolazioni. Le classificazioni di Resistenza come guerra civile, guerra di classe e guerra patriottica di liberazione nazionale in Alto Adige trovano difficile applicazione, non essendoci stati grandi scontri tra le popolazioni dei diversi gruppi linguistici ne’ al loro interno, salvo alcuni episodi di violenze nei confronti dei dableiber da parte di altri sudtirolesi e di collaborazionismo di sudtirolesi nei confronti dei nazisti, ad esempio nella deportazione degli ebrei. La componente di classe non era assolutamente rilevante mancando una tradizione politica socialcomunista. L’unico elemento consistente era quello relativo alla lotta di liberazione nazionale, declinata in maniera diversa dai diversi gruppi linguistici, tanto che vi fu, a partire dalla fine degli anni Trenta, una consistente resistenza sudtirolese antifascista, ma filonazista e, a partire dal 1943, una resistenza italiana antinazista, ma filofascista. Anche i pochi sudtirolesi e altoatesini che erano contemporaneamente antifascisti ed antinazisti avevano prospettive diverse per quanto riguarda il futuro politico del territorio, puntando alla riunificazione con un’Austria democratica i sudtirolesi ed al mantenimento del confine del Brennero gli altoatesini. Il dibattito sulla riforma autonomista e federalista dello Stato, che pur era presente tra gli intellettuali antifascisti al confino o in esilio, come Rossi, Spinelli, Trentin ed altri, era sempre rimasto e’litario e non si e’ mai sviluppato in Alto Adige. Anche per questi motivi la Resistenza in Alto Adige fu caratterizzata quindi da un diffuso attendismo, con centinaia di episodi di renitenza alla leva ed una struttura organizzata di assistenza agli internati del Lager di Via Resia, dove transitarono oltre 11.000 persone dirette ai campi di sterminio a Nord del Brennero.
Ora alcuni antifascisti di professione citano la storia del Lager per indignarsi contro la proposta dell’istituzione di una onorificenza ai combattenti, dimenticandosi che gli stessi partiti dell’arco costituzionale oramai trasformatisi in nuove aggregazioni politiche insieme all’inossidabile SVP negli anni Sessanta decisero di abbattere il Lager, che, a vent’anni dalla fine della guerra, ospitava ancora centinaia di sottoproletari italiani, e che solamente negli ultimi 15 anni si e’ deciso di valorizzarne la memoria – anche chiamando Mike Bongiorno a raccontare la sua storia -, dimenticandosi volutamente del generoso contributo dato dai “volonterosi carnefici di Hitler” sudtirolesi alla soluzione finale, accompagnando i nazisti casa per casa a catturare gli ebrei di Bolzano e Merano. Ma non dimentichiamo che molti di questi sudtirolesi avevano un cognome che ricordava le loro origini trentine, come Eccel e Clementi, di cui evidentemente si vergognavano a tal punto da dover dimostrare agli altri, oltre che a loro stessi, di essere piu’ tedeschi dei tedeschi e piu’ nazisti dei nazisti, perche’ anche la memoria individuale, come quella collettiva, e’ sempre condizionata dalla situazione presente e condizionante la situazione presente.
Chiedetelo a chi, in tempi recentissimi, ha piu’ volte affermato di non festeggiare la Liberazione il 25 aprile, perche’ sostiene che, in quanto sudtirolese, e’ stato liberato il 10 settembre 1943 dalle truppe naziste. E’ il vicesindaco della citta’ di Bolzano, da 15 anni in giunta con chi giustamente ed ipocritamente si indigna per la proposta di istituire la stessa onorificenza – “una croce grigliata in bronzo con al centro il Tricolore, sostenuta da un nastro di seta della larghezza di millimetri 37” – per le vittime ed i carnefici.
Bolzano, 22 marzo 2009.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 24 marzo 2009.