Le sfide della città di Bolzano nel XXI secolo1
“Si apre dunque una fase decisiva per Bolzano: o accetta in positivo la sfida del futuro, si riappropria della sua storia e ricostruisce una sua “identità forte”, diventa un evoluto laboratorio di convivenza civile e da’ piena espressione alla sua ricchezza policulturale, ripensa il suo rapporto con la Provincia e ne diventa avanzata espressione civile, individua un suo ruolo economico di alto profilo ed accetta di essere una città dell’Europa, ricerca le vie di una sua riconversione ambientale, culturale ed economica, ed allora vivra’; oppure e’ destinata ad un netto e doloroso peggioramento complessivo delle sue condizioni di marginalita’, di separatezza, di conflittualita’, di ingovernabilita’, di impoverimento, di disagio sociale, di disordine ambientale.”
Per dire quali sono i possibili sviluppi della citta’ di Bolzano in questo inizio di millennio non saprei trovare parole migliori di queste.
Ed e’ un vero peccato che siano state scritte, inutilmente, oltre 20 anni or sono, nell’introduzione agli atti di un convegno intitolato “Bolzano-Bozen: Ideen fuer eine neue Identitaet – La citta’ del futuro”, organizzato dal quotidiano «Alto Adige» in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Urbanistica nell’aprile del 1989.
Il 1989 non ha segnato solamente la fine anticipata del XX secolo conseguentemente alla caduta del Muro di Berlino. A livello locale ha significato il passaggio dall’era Magnago-Benedikter-Zelger – tutti e tre nati nel 1914, i primi due volontari nella Wehrmacht, tutti e tre membri, come presidente, vicepresidente-assessore all’urbanistica ed assessore alla scuola, della giunta sudtirolese che aveva gestito la fase finale della prima autonomia e la fase iniziale della seconda autonomia – all’era Durnwalder, allora da pochi mesi neopresidente della giunta provinciale.
Il cambiamento generazionale della giunta e l’imminente chiusura della vertenza internazionale aperta dall’Austria all’ONU nel 1960 sembravano portare aria fresca nella gestione spesso revanchista dei primi anni della nuova autonomia, vista come uno strumento etnicamente risarcitorio riguardante esclusivamente le minoranze nazionali ed assolutamente non territoriale.
Ma negli anni successivi le conseguenze di Tangentopoli a livello nazionale hanno spiazzato le sezioni altoatesine dei partiti politici nazionali, abituate fino ad allora a rendite di posizione, di maggioranza o di opposizione, ricopiate dal quadro nazionale.
Dopo l’emanazione della “Quietanza liberatoria” da parte austriaca chi si aspettava l’inizio di una nuova era e’ rimasto ampiamente deluso, ed anche le conseguenze riguardanti la citta’ capoluogo non si sono fatte attendere. Mentre nel vicino Trentino i primi anni della nuova autonomia hanno visto investire soprattutto nel capoluogo – pensiamo alla statizzazione dell’Universita’ ed al suo sviluppo – e solamente a partire dagli anni Novanta si e’ investito anche in periferia, in Alto Adige abbiamo avuto una politica opposta, che ha visto per i primi vent’anni enormi investimenti in periferia e solamente in seguito investimenti nel capoluogo, con le ovvie frustrazioni di carattere etnico, vista la divisione etnica del territorio.
A partire dagli anni Novanta, nello sfascio politico del post-tangentopoli, la Provincia ha deciso di investire anche nel capoluogo, dopo averne boicottato in tutti i modi lo sviluppo per vent’anni, determinando un calo di oltre 10.000 abitanti. Gli investimenti hanno riguardato anche la cultura, con i progetti dell’istituenda universita’, ovviamente affidati alla controllatissima e fidatissima Eurac. Ma il 9.9.99, all’inaugurazione del nuovo teatro di Piazza Verdi, cosi’ orgogliosamente voluto dall’assessore comunale Nolet ed osteggiato dall’SVP, non v’era traccia di esponenti del partito, che ha cominciato ad interessarsene solamente quando ha potuto, con l’istituzione della fondazione, controllare anche questa.
Nel frontespizio degli atti del convegno si legge una citazione tratta dalle “Citta’ invisibili” di Calvino:
“E’ inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le citta’ felici o tra quelle infelici. Non e’ in queste due specie che ha senso dividere le citta’, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la citta’ o ne sono cancellati.”
Bolzano, 25 gennaio 2010.
Giorgio Delle Donne
1 Editoriale pubblicato sull’«Alto Adige» il 27 gennaio 2010.